L’operazione dei carabinieri di questa mattina ha permesso di smantellare una struttura criminale di nuova generazione. Il traffico di stupefacenti era il “core business” dei clan, ma le indagini dell’Arma hanno fatto luce su una organizzazione che operava tra Messina e Catania con collegamenti in Calabria.
Le partite di droga venivano chiamate in codice “rose rosse” o “prezzemolo” per sviare i sospetti degli investigatori. A capo di uno dei due gruppi che inondavano di cocaina e marijuana la città dello stretto, c’era Maurizio Calabrò, 38 anni, in carcere dal luglio 2013 dopo essere stato sorpreso con quasi 5 chili di marijuana. Determinato e ben organizzato, dalla sua cella impartiva ordini per la gestione delle attività di narcotraffico, anche in forza dei suoi stretti collegamenti con esponenti di vertice di clan mafiosi catanesi.
Un duro, ma non troppo. A Calabrò, detto “Militto”, soprannome ereditato dal padre Carmelo, nel periodo in cui questi militava tra le file della criminalità messinese tra gli anni ’70 e ’90), toccava dare ordini, a indicare ruoli e attività, nonché a curare il reperimento dello stupefacente attraverso contatti personali con elementi calabresi e col catanese Sebastiano Sardo: a questi il capo era legato da uno strettissimo rapporto di amicizia, tanto da essersi tatuato su un braccio il nome di battesimo: “Sebastiano”, divenuto poi un componente essenziale del gruppo.
Una nuova generazione che aveva preso il controllo di una fetta del mercato della droga a Messina. I quartieri della zona sud erano le maggiori piazze dello spaccio del gruppo smantellato dai carabinieri con l’operazione sfociata nell’esecuzione di 17 misure cautelari, mentre altre due persone sono irreperibili.
Sono state scoperte due organizzazioni dedite allo spaccio di stupefacenti che si rifornivano nella zona di Catania e in Calabria. L’operazione scaturisce da un’indagine avviata nel 2013 dai carabinieri del Nucleo investigativo e coordinata dal sostituto della Dda Maria Pellegrino. L’attenzione si è rivolta su due gruppi, che si sarebbero succeduti nel tempo, riconducibili a Marco D’Angelo,29 anni e, appunto, Calabrò.
Le indagini sono cominciate dopo l’arresto di uno spacciatore che a marzo 2013 è stato trovato in possesso di oltre un chilo di marijuana. Dalle indagini è emerso che Calabrò si preoccupava di reperire la droga attraverso canali in Calabria e con il catanese Sebastiano Sardo. Un legame strettissimo, quello con Sardo, poi divenuto componente essenziale del gruppo con Giuseppe Cucinotta, Antonino Pandolfino, Letterio Russo e Samuele Zocco – con cui si scambiava da dietro le sbarre comunicazioni e messaggi.
Dopo l’arresto di Calabrò, la gestione del gruppo, secondo gli investigatori, è passato a Giuseppe Valenti, ma presto sono cominciati i problemi con gli altri membri anche perché non aveva lo stesso controllo e carisma. Per gli investigatori questa situazione favorisce l’ascesa di Marco D’Angelo che modifica il metodo di spaccio e si affida ad uno stretto numero di complici. Fissa anche delle regole nella gestione , il venerdì è il giorno fissato per la riscossione degli introiti. D’Angelo annotava tutto su un taccuino, una sorta di libro mastro che è stato trovato dai carabinieri.
Un giro d’affari vasto secondo i carabinieri di circa 23-24.000 euro in circa quindici giorni. Nel corso delle indagini i carabinieri hanno sequestrato anche un fucile calibro 12. “Un’attivita’ di spaccio e smercio che era trasversale – ha detto il colonnello Jacopo Mannucci Benincasa, comandante provinciale dei carabinieri- si tratta di ingenti quantitativi di cocaina e marijuana importata tanto dall’altra dello Stretto che dal centro etneo da qui il nome dell’operazione ‘Doppia sponda’ di approvvigionamento dello stupefacente, un’organizzazione che aveva il monopolio in numerosi quartieri cittadini e sulla fascia jonica”.