Grano: guerra nei prezzi. La questione grano sta diventando uno degli argomenti più scottanti dell’economia agricola siciliana, e non soltanto siciliana. Grano duro siciliano che è sicuramente uno dei prodotti che più caratterizza l’agricoltura della Sicilia.
Ma negli ultimi anni il grano ha subito parecchie variazioni nella qualità ed oscillazioni nei prezzi visto che si cerca continuamente di trovare grani che possono offrire specifiche di alta qualità, come una percentuale di proteine elevate. Gli agricoltori stanno subendo prezzi inferiori ai costi di produzione e “devono vendere oggi ben cinque chili di grano per pagarsi un semplice caffè a causa delle speculazioni sui prezzi che umiliano il lavoro dei campi mettendo a rischio la sopravvivenza di trecentomila imprese italiane e in pericolo un territorio di 2 milioni di ettari a rischio desertificazione e gli alti livelli qualitativi per i consumatori garantiti dalla produzione Made in Italy”, come ha denunciato nei giorni scorsi il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, al Salone del Gusto di Torino.
Mentre la continua ricerca rispolvera i grani antichi caratteristici della nostra terra, gli agricoltori perdono la possibilità di diventare imprenditori cedendo i migliori guadagni a due o tre grossi commercianti che si occupano di grano e che, monopolizzando il mercato, riescono a racimolare tutto il grano migliore dei campi ed a determinare il prezzo per le aziende.
“Nell’arco di un anno si è assistito al crollo del prezzo del grano duro destinato alla pasta che è praticamente dimezzato (-43 per cento), mentre si registra un calo del 19 per cento per quello del grano tenero destinato alla panificazione, con i compensi degli agricoltori che sono tornati ai livelli di 30 anni fa – come ha denunciato nei giorni scorsi Coldiretti Toscana -. Il risultato è che oggi il grano duro per la pasta viene pagato sotto i 18 centesimi al chilo mentre quello tenero per il pane è sceso addirittura ai 16 centesimi al chilo, su valori al di sotto dei costi di produzione”.
“Gli agricoltori oggi finalmente si sono svegliati – afferma Margherita Tomasello, vice presidente di Confcommercio Palermo, imprenditrice nell’omonimo pastificio palermitano – decisamente tardi considerando che negli anni ‘90 i pastifici in Sicilia erano quasi un centinaio e ormai si contano forse nelle dita di una mano. purtroppo il prezzo del grano è crollato, quindi gli agricoltori non rientrano con i costi. Non è demonizzando il grano estero tacciandolo come veleno mortale e portatore di malattie tragiche che si aumenta il business, si devono pretendere giusti controlli in dogana e lasciare che il mercato estero abbia anche un suo posizionamento”.
“Nel 2008 ed ancora due anni fa, nel 2014, – aggiunge Margherita Tomasello – quando il grano duro si era attestato a 0,40 cent al kg. non ho sentito nessun grido di dolore visto che il loro guadagno era abbastanza soddisfacente, ma la percentuale che i commercianti gli davano era abbastanza soddisfacente (circa 0,27) oggi che il grano viene comprato a 0,26 l’agricoltore ne guadagna solo 0,16: effettivamente è troppo poco. Ed allora- prosegue Tomasello – cominciano i messaggi allarmistici, se non terroristici, sulla nostra salute, che sarebbe minacciata da micotossine, glifosati, tutti veleni presenti nel grano che importiamo, e stranamente si parla solo di quello canadese e non di quello francese o turco, in questo modo l’opinione pubblica grida che vuole e ricerca soltanto il prodotto siciliano, solo grani siciliani”.
“L’Italia – ricorda la Coldiretti – è il principale produttore europeo di grano duro, destinato alla pasta con 4,8 milioni di tonnellate su una superficie coltivata, pari a circa 1,3 milioni di ettari ma sono ben 2,3 milioni di tonnellate di grano duro che arrivano dall’estero e di queste oltre la metà per un totale di 1,2 milioni di tonnellate arrivano dal Canada, con note marche che lo usano in maniera esclusiva facendone addirittura un elemento di distintività. Un paradosso – spiega Coldiretti – se si pensa che il prodotto canadese non solo è trattato con il glifosate, il prodotto fitosanitario sospettato di essere cancerogeno oggi vietato in Italia, ma arriva nel nostro Paese già vecchio di un anno, visto che nel Paese nordamericano la raccolta avviene in settembre”.
“Premesso che non tifo per il grano estero, ma tifo solo per una imprenditoria che anche nell’agricoltura deve avere un suo sviluppo e non esclusivamente aiuti da parte dell’ Europa – prosegue Margherita Tomasello – credo che oggi bisogna avere coraggio e fare in modo che gli agricoltori incomincino ad avere la forza di annientare un passaggio assolutamente inutile, che fa solo lievitare i costi del prodotto finito, cioè quello dei commercianti e quindi industrializzate il prodotto accorciando la filiera agricoltore-industria-consumatore. Noi – aggiunge – siamo stati i primi che abbiamo portato il nostro prodotto fuori la Sicilia, America Belgio, Ucraina e siamo stati sempre riconosciuti come eccellenza perché il “made in Sicily” nell’alimentare è eccellenza. Per questo sono assolutamente contraria a demonizzare grano estero, perché, con i dovuti controlli da parte della dogana, comunque, è un grano ottimo e spesso serve anche per unirlo con il nostro creando un prodotto superbo. Siamo nell’era della globalizzazione – conclude Tomasello – per un prodotto particolare,tipico, curato, di tradizione. Anche così si vince il mercato, non criticando alcuni prodotti perché crediamo che ci tolgono mercato”.
“Il problema delle importazioni del grano – spiega Ambrogio Vario, cerealicolture e vice presidente Sloow Food Sicilia – è la carenza di controlli igienico sanitari e carotaggi nelle navi che a mio giudizio dovrebbero essere sistematici e non a campione, gli uffici di controllo dovrebbero prevedere una delegazione di produttori a salvaguardia delle produzioni locali. Per esempio, si potrebbe coinvolgere nei controlli l’Istituto Zooprofilattico. Molti dei nostri grani – aggiunge Vario – sono serviti e servono per tagliare i veleni che trovano ingresso facile nei nostri porti. Ma in un mercato globalizzato, se il grano è buono non possiamo impedire che sia commercializzato. I grani siciliani nel tempo non sono stati abbastanza valorizzati a causa dell’atavico scetticismo che contraddistingue i produttori siciliani, i quali non sono stati in grado nel tempo di fare rete. Oggi – sottolinea Vario – dobbiamo basare le nostre azioni sulla fiducia e sulla rete per acquisire poteri contrattuali tali da contrastare le multinazionali. Slow Food Sicilia ha creato la comunità dei grani antichi di Sicilia offrendo l’opportunità ad ogni segmento di filiera di aderire condividendo anche il disciplinare del prezzo etico, che dovrebbe fornire in trasparenza, oltre che l’indubbia salubrità, la formazione del prezzo del prodotto finito per evitare speculazioni”, conclude il vice presidente di Slow Food Sicilia.