E’ bufera e montano le polemiche sulla scarcerazione, per ragioni di salute e rischio contagio da Coronavirus, di oltre 370 boss mafiosi eccellenti, alcuni dei quali persino detenuti, fino a pochi giorni fa, in regime di 41-bis, il carcere duro.
Nell’elenco inviato dal Dap alla Commissione parlamentare Antimafia figurano, tra gli altri, anche Antonino Sacco, uomo dei fratelli Graviano, reggente del mandamento palermitano di Brancaccio; e Franco Cataldo, 85 anni, condannato all’ergastolo per concorso nel sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia Santino, rapito e sciolto nell’acido nel 1996 dopo oltre due anni di prigionia.
Franco Cataldo stava scontando l’ergastolo nel carcere milanese di Opera, ma è già rientrato nella sua casa di Geraci Siculo, sulle Madonie, in provincia di Palermo. Anche in questo caso, determinante è stato il pericolo che l’anziano boss, già malato, potesse contrarre il Covid-19 dietro alle sbarre, proprio per le sue condizioni di salute. Cataldo era stato arrestato con diversi altri mafiosi dopo la scoperta del bunker sotterraneo, in un casolare di San Giuseppe Jato, dove era stato segregato nell’ultimo periodo Giuseppe, il figlio del pentito Santino Di Matteo, prima di essere strangolato e sciolto nell’acido su ordine di Giovanni Brusca. Secondo l’accusa uno dei covi utilizzati per nascondere il bambino sarebbe stata una masseria di proprietà di Cataldo.
Sempre per quanto riguarda esponenti della criminalità organizzata siciliana, i domiciliari sono stari concessi anche Gino Bontempo, boss di 62 anni, protagonista della cosiddetta “mafia dei pascoli” della zona dei Nebrodi, specializzata in truffe milionarie all’Unione Europea. E soprattutto Francesco Bonura, luogotenente di Bernardo Provenzano, detenuto al 41bis, che ad aprile aveva visto aprirsi le porte del carcere per far rientro a casa. Bonura, 78 anni, era stato tra gli imputati del primo maxi processo a Cosa nostra, definito “valoroso” dal pentito Tommaso Buscetta. Ma altri nomi eccellenti, che potrebbero ringraziare il coronavirus per un inaspettato ritorno a casa sono Rosalia Di Trapani, moglie e confidente del boss mafioso Salvatore Lo Piccolo; e Vito D’Angelo, vicino alla primula rossa Matteo Messina Denaro.
“Questa ennesima scarcerazione è un segnale devastante che arriva in Sicilia se anche uno dei carcerieri del piccolo Di Matteo è libero di tornare a casa”. E’ il commento di Carolina Varchi, deputato nazionale di Fratelli d’Italia e capogruppo in commissione giustizia a seguito delle scarcerazioni decise dal Dap. “L’omicidio del piccolo Di Matteo, dopo 779 giorni di sequestro, resta uno dei delitti di mafia più efferati – sottolinea Varchi -. Da allora ci fu un risveglio completo delle coscienze, anche di quelle che ancora credevano che esistesse una mafia ‘buona’ che non toccava donne e bambini, non avevano tratto insegnamento dalla storia del piccolo Giuseppe Letizia”, conclude Varchi.
“L’articolo 41 bis non deve essere toccato se non in casi estremi. E’ importante che i detenuti vivano isolati per evitare che continuino a essere boss. Per gli altri detenuti ci devono essere decisioni al vaglio dei magistrati, ma credo che nelle carceri ci siano i mezzi idonei per tutelare dal punto di vista sanitario i detenuti, non vedo quindi la necessità per farli uscire. E non sono una giustizialista”. Lo dice Maria Falcone, sorella del giudice ucciso dalla mafia, intervenuta alla presentazione dell’evento Rai #PalermoChiamaItalia.
“Il ministro Bonafede rimanderà in carcere tutti i boss scarcerati? E’ un quadro che il ministro della Giustizia sta approfondendo, probabilmente laddove ci sono aperture mi sembra un’ottima soluzione potere individuare spiragli in cui almeno i più pericolosi possono rientrare in carcere”. Lo ha detto il Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho commentando l’annuncio del Guardasigilli Alfonso Bonafede di “fare tornare in carcere i boss detenuti scarcerati”. “Evidentemente andranno rivalutate tutte quante le posizioni dei detenuti e laddove c’è la possibilità di una impugnazione, probabilmente rappresenterà che sono disponibili i posti nei centri ospedalieri. Ma bisognerà vedere, poi, se il magistrato accoglierà le istanze che dovrebbero comunque arrivare dai procuratori generali o distrettuali che seguono la procedura esecutiva”.