Caporalato nell’Agrigentino: lavoratori dell’Est sfruttati nei campi, 8 arresti

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Otto fermi sono stati eseguiti nella notte dai carabinieri del Comando provinciale di Agrigento e del Nucleo ispettorato del lavoro. I provvedimenti sono stati emessi dalla Procura agrigentina nei confronti dei componenti di una organizzazione criminale che faceva giungere in provincia, tra Agrigento e Licata, lavoratori dell’est con visto turistico, per poi sfruttarli nelle campagne con una paga di pochi euro all’ora. L’indagine, coordinata dal procuratore Luigi Patronaggio, è stata condotta dal sostituto Gloria Andreoli.

L’indagine, denominata “Ponos”, ha preso il via a maggio scorso ed è stata svolta mediante intercettazioni, pedinamenti e telecamere nascoste. I carabinieri hanno filmato come le vittime venissero stipate, anche in quaranta, all’interno di furgoni adibiti al trasporto, per poi essere costrette a lavorare nei campi sotto il costante controllo dei caporali, fino a 12 ore senza sosta, sia sotto il caldo torrido che con la pioggia battente.

L’organizzazione scoperta aveva, secondo gli inquirenti, una “solida struttura verticistica”, che vedeva come “capi promotori e organizzatori” due donne di origine slovacca, madre e figlia. Tra i fermati, accusati di essere complici, anche due romeni e quattro italiani. Tutto cominciava con l’ingresso dei lavoratori, nella maggior parte dei casi ucraini e moldavi, all’interno delle frontiere europee.

Le due donne e gli altri componenti della banda facevano ottenere ai futuri braccianti dei visti turistici approfittando della libera circolazione prevista dal Trattato di Schengen: in questo modo venivano aggirati i limiti del decreto flussi, organizzando il viaggio verso l’Italia attraverso autobus vecchi ed angusti.

Una volta arrivati nell’Agrigentino, i circa cento braccianti ucraini hanno dovuto pagare un affitto da 100 euro a posto letto al mese in diverse abitazioni messe a disposizione dall’organizzazione. Le due donne, a questo punto, contrattavano le prestazioni con i proprietari dei fondi e delle aziende agricole: una volta raggiunto l’accordo, gli operai venivano trasportati in condizioni di estremo disagio, su una vera e propria flotta di minivan e furgoni condotti dagli stessi caporali. Le indagini hanno accertato che in alcuni casi sono state caricate anche 40 persone su un unico furgone.

I carabinieri hanno inoltre accertato che ogni lavoratore aveva un “costo” di circa 42 euro al giorno, ma riceveva una paga corrispondente a meno di 3 euro all’ora, molto al di sotto del limite minimo retributivo previsto dal contratto provinciale del lavoro.

I carabinieri di Agrigento parlano di condizioni di lavoro “strazianti” nei campo: braccianti costretti a stare in piedi per ore, a sgrappolare l’uva o a raccogliere le pesche senza poter fare pause o riposarsi e non potendosi sedere nemmeno su una cassetta di frutta. Non avevano a disposizione alcun dispositivo di protezione ed erano esposti al forte caldo, all’umidità delle serre e alla pioggia battente senza poter trovare riparo, lavorando fra le 10 e le 12 ore al giorno, 7 giorni su 7, festivi compresi, “costantemente intimoriti e controllati – spiegano i carabinieri – dai caporali”.

Il giro d’affari, in termini di guadagno dell’organizzazione e di risparmi illecitamente ottenuti dai committenti in virtù dei mancati versamenti previdenziali e altri oneri, è stato stimato in circa un milione di euro a stagione. Tutti gli indagati dovranno ora rispondere, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla illecita intermediazione ed allo sfruttamento del lavoro, oltre che di violazione delle disposizioni contro l’immigrazione clandestina.