Si sono mossi all’alba i carabinieri che hanno dato vita all’operazione Alastra, il blitz che ha assestato un duro colpo alla mafia di San Mauro Castelverde. Undici le persone coinvolte a vario titolo accusate di associazione mafiosa, estorsione, trasferimento fraudolento di beni, corruzione, atti persecutori, furto aggravato e danneggiamento.
Le indagini, seguite da un pool di magistrati coordinati dal Procuratore Aggiunto Salvatore De Luca, documentano gli assetti e le dinamiche criminali del mandamento mafioso di San Mauro Castelverde, che, all’indomani dell’operazione Black Cat, nell’aprile del 2015, ha serrato le fila ed ha continuato ad operare sul territorio, imponendo il proprio potere con inalterata capacità intimidatoria.
Il clan madonita si è reso protagonista di numerosissime estorsioni ai danni dei commercianti locali documentate dai militari dell’Arma. I mafiosi avevano costruito una efficientissima rete di comunicazione necessaria agli storici boss detenuti per mantenere il comando degli associati liberi e continuare a strangolare imprese e società civile.
Le attività di indagine hanno consentito di evidenziare il ruolo ricoperto da Giuseppe Farinella, figlio di Domenico Farinella, l’autorevole boss di cosa nostra all’epoca detenuto a Voghera in regime di alta sicurezza. Tale sistema di controllo della consorteria mafiosa, basato sui rapporti di consanguineità, ha così permesso al capo mafia detenuto di mantenere il controllo del mandamento.
Nonostante la giovane età, il rampollo ha avuto il compito di coordinare gli altri membri del sodalizio che operavano sul territorio, cooperando con uno storico mafioso di Tusa, Gioacchino Spinnato, che, ben radicato nell’organizzazione di cosa nostra, ha gestito i contatti con gli uomini d’onore degli altri mandamenti, fra i quali Filippo Salvatore Bisconti, già capo del mandamento mafioso di Belmonte Mezzagno, ora collaboratore di Giustizia.
Dalle investigazioni è emerso in maniera chiara che l’attività estorsiva, strumento attraverso il quale l’organizzazione esercita il controllo sul territorio, continua ad essere una forma di sostentamento primario per il sodalizio mafioso.
Grazie all’attività di indagine e alla fondamentale collaborazione degli imprenditori vessati, sono state infatti ricostruite 11 vicende estorsive (5 consumate e 6 tentate). Alle vittime era imposto di pagare il pizzo o di acquistare forniture di carne da una macelleria di Finale di Pollina gestita da Giuseppe Scialabba, braccio destro di Giuseppe Farinella.
I tentacoli del mandamento si erano allungati anche sull’organizzazione dell’Oktoberfest del 2018 a Finale di Pollina, quando, per impedire la partecipazione alla sagra di un commerciante che non si era piegato alle imposizioni del clan, gli indagati non avevano esitato a devastargli lo stand.
Con la libertà, nell’aprile 2019, Domenico Farinella ha deciso di concentrare nelle sue mani il vertice del sodalizio e ha ordinato agli associati liberi di intensificare la presenza sul territorio, avviando una nuova spirale di estorsioni ai danni dei commercianti. Preziosissime, in questo senso, sono state le testimonianze delle vittime che, ribellandosi al sistema criminale, hanno trovato il coraggio di denunciare di iniziativa e di collaborare con i carabinieri.
Le investigazioni che hanno portato all’operazione Alastra, hanno consentito di evidenziare anche la capillare e asfissiante influenza dell’organizzazione mafiosa sul tessuto economico non soltanto attraverso l’imposizione del pizzo, ma anche attraverso la sensaleria negli affari dei privati e per mezzo della gestione diretta di attività di impresa che, fittiziamente intestate a soggetti incensurati, erano nei fatti amministrate dagli indagati.
Al fine di eludere eventuali misure cautelari, infatti, Giuseppe Farinella ed Giuseppe Scialabba avevano fatto risultare terze persone quali titolari rispettivamente di un centro scommesse di Palermo e una sanitaria di Finale di Pollina, sottoposti a sequestro, del valore di 1.000.000 di euro.