Antonio Di Pietro a Palermo per deporre come teste nel processo di appello sulla presunta trattativa tra Stato e mafia. E la testimonianza dell’ex giudice di Milano ha riservato parecchie sorprese e spunti interessanti, come la ricostruzione dei suoi rapporti con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e i rapporti di Salvo Lima con il sistema che garantiva tangenti ai partiti di governo.
“Nel 1992, da febbraio a maggio e fino all’omicidio di Falcone, l’inchiesta ‘mani pulite’ si allarga e assume una rilevanza nazionale. Io mi confronto con Falcone che mi dice che le rogatorie sono l’unico strumento per individuare le provviste e mi accennò che da lì si arrivava anche in Sicilia: bisognava controllare gli appalti anche in Sicilia. Anche con Borsellino parlai degli stessi argomenti: man mano che si sviluppava l’indagine era più opportuno andare a cercare dove si formava la provvista” – ha detto l’ex pm. A quell’epoca Falcone era già a Roma, a capo del Dipartimento affari penali e proprio per questo vi erano continui contatti tra il pm della procura di Milano.
L’ex senatore ha deposto dinanzi alla Corte di assise di appello presieduta da Angelo Pellino (Vittorio Anania giudice a latere) rispondendo alle domande dell’avvocato Basilio Milio.
“Ebbi diversi colloqui con Giovanni Falcone rispetto a ciò che stavo svolgendo sulle rogatorie internazionali, una materia a me sconosciuta all’epoca. Fu lui – rievoca Di Pietro – che mi fece da insegnante con le autorità giudiziarie internazionali proprio per potere realizzare al meglio le rogatorie internazionali”.
Uno degli nomi di politici siciliani “a cui arrivammo era Salvo Lima: era lui il destinatario di una parte della maxi tangente Enimont da 150 miliardi di lire commutata in Cct”, precisa l’ex pm, spiegando che all’epoca Giovanni Falcone lavorava già a Roma come direttore generale del Dap, il dipartimento degli affari penali del ministero della giustizia.
“Borsellino non mi parlò del rapporto del Ros mafia e appalti del 1991. Ma – ha proseguito Di Pietro – il giorno del funerale di Giovanni Falcone con Borsellino parlammo degli stessi argomenti affrontati con Falcone e rimanemmo che ne avremmo dovuto riparlare. Mi disse ‘Bisogna fare presto’, in riferimento alla necessità di un coordinamento delle indagini sul territorio nazionale. Come sapete questo non fu possibile. E dopo la sua morte compresi meglio la diffusione del sistema, continuai a indagare e arrivò una segnalazione del Ros su un possibile attentato contro di me”.