Due ateniesi, Pistetero ed Evelpide, lasciano la loro città divorata dalla passione vendicativa della giustizia e dall’ossessivo desiderio di colonizzare popoli e territori, e se ne vanno in cerca di un luogo senza seccature, per trascorrervi il resto della vita. Laggiù i due ateniesi cercano e trovano un grande sogno utopico: una città che rinnovi la perduta età dell’oro, quando gli uccelli, più antichi di Crono e dei Titani, padroni del tempo, erano sovrani di una patria dolce e materna, senza leggi né violenza. Ma l’utopia dura poco, perché Pistetero, via via, ristabilizza nella nuova polis l’ordine del nomos a cui si era ribellato, stravolgendo l’aerea Nubicucùlia in un doppio del mondo reale, dove gli uccelli “dissidenti” vengono trasformati in un arrosto succulento, mentre quelli accondiscendenti si mettono al totale servizio degli uomini.
“Gli uccelli. Nubicucùlia, la città impossibile” di Aristofane, adattamento e regia Cinzia Maccagnano, andrà in scena mercoledì 28 e giovedì 29 agosto, alle 19,45, nel teatro del parco archeologico di Segesta, nell’ambito del Calatafimi Segesta festival Dionisiache 2019, direzione artistica di Nicasio Anzelmo.
In uno sgangherato varietà, anche attraverso scene buffonesche e ridicole, si manifesta la ribellione dell’individuo nei confronti del gruppo, della società. Questa ribellione, comune a tutti gli uomini, non trovando appigli nella realtà per l’attuazione, dà impulso incontrollato, si traduce in atto in una dimensione fantastica, dove il sovvertimento dell’ordine costituito diventa lecito, il desiderio diventa folle a tal punto da sovrapporre il mondo ideale a quello reale. L’autocompiacimento di Pistetero lo porta a diventare anch’egli ipertrofico, come la sua Atene dalle mire espansionistiche, e così, non pago di aver assunto il controllo di Nubicucùlia, vuole costringere alla sottomissione persino gli dèi, ricattandoli e poi corrompendoli. Ma che ne sarà di questo mondo, apparentemente a misura d’uccello, ma di fatto a misura di Pistetero? L’uomo cadrà negli stessi vizi da cui è fuggito, irrimediabilmente sedotto dal potere che gli garantisce il controllo della società di uccelli, e dal denaro che lo rende socialmente riconosciuto. Ne verrà fuori un Io ricostruito che al termine di una parata tutta musica e balletti, come il più estroso dei carnevali, metterà in gabbia i desideri degli altri, costruirà mura a garanzia del proprio Io eroico, facendosi beffe persino degli dèi. L’opera di Aristofane si conclude con la festa per le nozze di Pistetero con l’amante di Zeus, cioè con l’accettazione della vittoria del più furbo, come se la conclusione dovesse essere quella di accontentarsi di quell’unico modello possibile di società, dove una “tarantella” chiassosa, cancellando il malumore, tenta di cancellare, nascondendolo, il malessere. Ma ad uno sguardo più distante si può cogliere invece come Aristofane indichi la banalità del male, la fragilità delle società che si lasciano capeggiare dalla bramosia di individui frustrati e prepotenti che un poco di coraggio potrebbe scalzare con facilità. Perciò, forse, possiamo immaginare un usignolo, una voce fuori dal coro, che, volando in alto sullo sfumare della festa, possa cantare ancora la nascita di una città ideale, chissà dove, chissà con chi.
Adattamento e regia Cinzia Maccagnano (nella foto); con Oriana Cardaci, Marta Cirello, Raffaele Gangale, Dario Garofalo, Cinzia Maccagnano, Luna Marongiu, Chiara Pizzolo, Cristina Putignano, Rossana Veracierta. E con Lucrezio De Seta, Franco Vinci. Musiche originali, Lucrezio De Seta; canzone di Upupa Federica Clementi; movimenti di scena Luna Marongiu; costumi Monica Mancini; scenografia Rosalba Cannella e Mariella Beltempo.
Conversazioni d’autore: “L’arte rupestre preistorica in Sicilia” mercoledì 28
Per ‘Conversazioni d’autore’ mercoledì 28 agosto alle 21.30, sempre nell’ambito delle Dionisiache 2019, sulla collina del tempio, incontro con l’archeologo e speleologo Giovanni Mannino su “L’arte rupestre preistorica in Sicilia” (Edizioni di Storia e di studi sociali), volume curato dall’archeologo Antonino Filippi. Mannino autore del volume e fondatore dell’Associazione Catasto Speleologico Siciliano, ha esplorato oltre 700 grotte in Sicilia e in Italia. Introduce Rossella Giglio, direttore del parco archeologico di Segesta.
L’arte rupestre preistorica è un linguaggio senza tempo fatto di immagini e segni, talvolta incisi altre volte dipinti sulla roccia, che ritroviamo in ogni parte del mondo. L’uomo preistorico, sin dal lontano Paleolitico Superiore, realizzò in Sicilia sulle pareti delle grotte alcuni capolavori d’arte, come la celebre scena nella Grotta dell’Addaura, presso Palermo, dove uomini e donne sono intenti a compiere un acrobatico rituale, del quale forse mai comprenderemo la reale essenza; o le figure di animali nella Grotta del Genovese dell’isola di Levanzo, che costituiscono una sorta di enciclopedia illustrata della fauna siciliana sul finire del Pleistocene. Più enigmatici sono invece i segni dipinti sulle pareti della Grotta dei Cavalli, presso San Vito lo Capo, quasi un preludio dell’arte astratta dei nostri tempi, o le migliaia di incisioni lineari presenti in decine di grotte e anfratti, per le quali l’estrema essenzialità del segno scolpito nella roccia nasconde ancora gelosamente il messaggio in esse contenuto. Sarà proprio dalla scoperta nel 1960, per la prima volta in Italia, di alcuni segni incisi nel corso della preistoria, in una grotta non lontana da Palermo, che avrà inizio la lunga avventura scientifica di Giovanni Mannino, già pioniere della speleologia siciliana. L’autore, attraverso le pagine di questo libro, curato dall’archeologo Antonino Filippi, ci racconta così oltre mezzo secolo di studi, non limitandosi però alla sola descrizione dei dati, ma esplorando anche il lato umano della ricerca, i fatti, le circostanze e i protagonisti di ogni scoperta, attraverso un racconto che travalica il mero dato scientifico, divenendo la narrazione di una storia, ancora poco conosciuta, che ha come protagonista la Sicilia e la sua millenaria cultura.