La seconda sezione del Tribunale di Palermo ha condannato a sette anni di reclusione l’avvocato Domenico “Memi” Salvo, imputato di un vasto traffico di droga fra il Perù e l’Italia, ma risultato colpevole, alla fine del processo, di un singolo episodio di importazione di cocaina ridotta allo stato liquido e “imbevuta” in abiti, pesanti 27 chili in più proprio perché contenevano tre chili e mezzo di coca.
Il sequestro scattato all’aeroporto di Lima diede il via all’inchiesta della sezione narcotici della Squadra mobile di Palermo, chiusa adesso con cinque condanne e due assoluzioni. Il collegio presieduto da Bruno Fasciana ha accolto solo in parte le richieste del pm Carlo Marzella, che per Memi Salvo aveva chiesto 28 anni di prigione.
Nel corso del dibattimento pero’ era venuta meno, in gran parte, la credibilità del “pentito” Gaspare Canfarotta, che era risultato in rapporti con i Servizi segreti e che dunque avrebbe agito da agente provocatore, da infiltrato, ma in assenza delle necessarie garanzie previste dalla legge. L’avvocato Salvo era già stato arrestato e poi condannato – con sentenza definitiva e pena già espiata – a 4 anni e 8 mesi, con l’accusa di avere agevolato i propri clienti Filippo e Giuseppe Graviano, capomafia stragisti di Brancaccio, detenuti al 41 bis, e i loro familiari.
Nel complesso il giudizio si è chiuso con cinque condanne e due assoluzioni e pene per un totale di 41 anni. La condanna più pesante è stata inflitta a Francesco Fumuso, che ha avuto otto anni; sette anni ciascuno li hanno avuti Aldo Monopoli e Domenico Marino; per Daniele Uzzo e Claudio Fiorelli la condanna e’ a sei anni, mentre Antonio Riina e Christian Mancino sono stati del tutto assolti.
La notevole riduzione delle pene, rispetto alle richieste del pm, è legata ad assoluzioni parziali: è caduta, in particolare, la contestazione più pesante, quella di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Domenico Salvo era stato radiato dall’Ordine degli avvocati dopo la condanna per mafia, ma poi si era reiscritto a Locri, in Calabria. Per realizzare l’acquisto della cocaina, di cui era consumatore, avrebbe venduto per 410 mila euro la nuda proprietà di un appartamento della madre: 42 mila euro li avrebbe usati per l'”affare”.