Un’armata di robot sta cambiando regole e ritmi del lavoro globale. Non è una fantasia o una profezia. È la realtà. L’impiego delle macchine di nuovissima generazione in tutto il mondo si è triplicato fino a toccare quota 2,25 milioni nel corso degli ultimi venti anni e dovrebbe raggiungere i 20 milioni entro il 2030. Sono i dati forniti da Oxford Economics che, con il report “Come i robot cambiano il mondo – cosa significa veramente l’automazione per i posti di lavoro e la produttività” si interroga anche sulle conseguenze negative di questa straordinaria quanto inquietante rivoluzione tecnologica.
Le maggiori perdite di posti di lavoro saranno evidenti nell’autotrasporto così come nello shipping e nel settore portuale. Adrian Cooper – Ceo e Chief Economist della Oxford Economics, prevede che «gli attuali modelli di business verranno seriamente rivisitati e decine di milioni dei posti di lavoro esistenti verranno perduti con i lavoratori rimpiazzati dai robot in modo sempre più crescente».

Due tra le motivazioni principali alla base del successo dei robot: sono più esperti e competenti e, allo stesso tempo, sono nettamente più economici delle figure umane. Un piccolo esempio tra tutti: i frutti di bosco devono essere trattati con cura per non essere danneggiati e quindi vedere notevolmente ridotto, o anche cancellato, il loro valore commerciale e i robot raccioglitori sono ottimali e, quindi, portatori di un valore aggiunto. L’altra ragione, naturalmente, risiede nell’impatto finanziario. Per gli esperti britannici, le macchine stanno diventando sempre più economiche se comparate al costo delle risorse umane, a causa di un decremento dei costi della tecnologia e un aumento di quelli del lavoro. «In Cina, ad esempio, il costo del lavoro nel settore manifatturiero è cresciuto di oltre il 65% dal 2008 – spiega Adrian Cooper – Un analogo aumento dei livelli salariali è avvenuto in Corea, in Giappone, negli Stati Uniti e in Germania».
Secondo Oxford Economics entro i prossimi dieci anni potrebbe essere rimpiazzato dai robot l’8,5% della forza lavoro globale in ambito manifatturiero: si tratta di circa 20 milioni di posti di lavoro. Le zone più a rischio sono quelle a basso reddito, dove le perdite saranno maggiormente sentite. Negli Stati Uniti le regioni più vulnerabili saranno quelle altamente dipendenti dall’attività manifatturiera. Lo Stato più a rischio sarà l’Oregon, in particolare la regione di Portland. Altri stati interessati potrebbero essere Indiana, Louisiana, North Carolina e Texas. Stati meno vulnerabili, invece, risultano essere il Distretto di Columbia, la Florida, le isole Hawaii, il Nevada e il Vermont a causa della loro maggiore propensione verso altri settori quali il turismo, la finanza e i servizi. In Giappone l’area della capitale appare meno esposta alla rivoluzione robotica per via della già avanzata conversione tecnologica. Alcune zone della Corea del Sud, invece, risultano essere maggiormente vulnerabili a causa della loro alta dipendenza dall’industria automobilistica.
Non si tratta di un cambiamento improvviso. Come è noto i robot hanno cominciato a sostituire i lavoratori “umani” a partire dal 2000. Ma oggi, davanti a questa crescita esponenziale, la politica dei vari governi (quelli seri, lasciamo stare quelli nostrani…) sembra disconnessa, stordita e impreparata. Un ritardo preoccupante che comporterà un prezzo sociale elevatissimo. Ovunque. (A cura di Marina Buffoni)