C’è Cosa nostra sullo sfondo dell’indagine della Procura di Palermo che ha portato alla scoperta di un’organizzazione criminale che faceva ottenere pensioni a falsi invalidi. Non a caso tra le persone coinvolte c’è Giovanni Tantillo, legato al clan palermitano di Borgo Vecchio, e alla cui famiglia alcuni componenti della banda versavano regolarmente denaro (il perchè è tra le domande cui gli inquirenti dovranno ora dare risposta).
Del resto, a dare il via alle indagini dei carabinieri – sfociate oggi in 19 misure cautelari e ad un sequestro per equivalente di un milione e mezzo di euro – è stata la convivente di un collaboratore di giustizia. Patrizia Ribaudo ha parlato con gli investigatori rivelando di aver trovato in un armadio, nella casa messa a disposizione da Giovanni Tantillo (padre di sua figlia) e da Giuseppe Cinà, un maxi archivio con centinaia di pratiche di invalidità.
E’ proprio da queste dichiarazioni che parte l’inchiesta che ha portato alla luce l’enorme giro di “malati immaginari” gestito dall’organizzazione. Una scoperta che la stessa Ribaudo aveva deciso di utilizzare a proprio vantaggio: ai due uomini chiedeva infatti denaro, in cambio del suo silenzio. Di qui l’accusa di tentata estorsione che le viene contestata dalla Procura.
Il resto arriva dalle indagini dei carabinieri: “Non voglio più lavorare, lo Stato mi deve campare, io voglio la pensione”, è una delle frasi pronunciate da uno dei personaggi indagati durante le intercettazioni . Conversazioni che rivelano, agli investigatori, anche il compiacimento degli stessi Cinà e Tantillo, già arrestati con le stesse accuse nel 2007. I quali, dopo aver richiesto nuovamente la pensione di invalidità, commentavano: “Più di togliercela non possono fare… e noi la prendiamo nuovamente”.
E sempre Cinà parlando con una falda invalida, Silvana Giordano, diceva: “Puoi stare tranquilla, io te la faccio pigliare di nuovo. Vinciamo noi, non loro e gli rompiamo il culo di nuovo allo Stato”.