Che cosa gli riservi il futuro è ancora un segreto (almeno per gli altri). Di certo c’è che oggi per Giuseppe Pignatone, che festeggia il suo 70esimo compleanno, è l’ultimo giorno da capo della procura di Roma. Da domani va in pensione dopo essere entrato in magistratura nel 1974.
Ai giornalisti che giorni fa ha voluto salutare e ringraziare soprattutto per “la pazienza dimostrata alle luce delle mie tante non risposte alle vostre domande”, Pignatone ha detto che per ora tornerà nella “sua” Palermo per ragioni familiari e di cuore: “Ho trascorso undici anni lontano da questa città”, e cioè i quattro vissuti a Reggio Calabria come capo della procura e i sette nella Capitale alla guida dell’ufficio giudiziario più importante d’Italia, esperienza cominciata il 19 marzo del 2012.
“Che cosa farò adesso? E chi lo sa? Di sicuro avrò tanto tempo a disposizione per leggere ma non si escludono sorprese”. Per il momento Pignatone continuerà ad andare in giro a presentare il libro ‘Modelli Criminali’ (sull’evoluzione negli anni della mafia siciliana e calabrese, con un’analisi sulla criminalità romana) scritto con l’aggiunto Michele Prestipino, che assumerà la reggenza di piazzale Clodio, in attesa che il Csm individui il nuovo procuratore.
“Una cosa ve la posso dire: lavorerete per molto tempo ancora su ciò che abbiamo fatto in questi anni”, ha avvertito Pignatone. Ed è vero: ad ottobre approda in Cassazione il maxiprocesso di ‘Mafia Capitale’, vicenda che dal dicembre 2014 non ha mai cessato di tenere banco dal punto mediatico, mentre sono (o saranno presto) al vaglio del gup inchieste delicate come quelle sul nuovo Stadio della Roma, sul caso Consip e sui falsi e sui depistaggi legati al pestaggio subito da Stefano Cucchi in una caserma dei carabinieri (mentre e’ in corso il processo bis in assise sulla morte del ragazzo).
E’ ancora aperta l’indagine sul sequestro e sulla morte di Giulio Regeni al Cairo anche se molto dipende dalla volontà delle autorità egiziane di cercare la verità. Avranno sicuramente una coda in appello i processi all’ex sindaco Gianni Alemanno (condannato a 6 anni per corruzione e finanziamento illecito) e all’attuale prima cittadina Virginia Raggi (assolta dall’accusa di falso), mentre si è chiusa un mese fa in Cassazione (con la definitiva assoluzione) la “grana” giudiziaria che chiamava in causa Ignazio Marino, altro ex sindaco di Roma, per falso e peculato. E poi ci sono tanti altri processi, ancora nella fase del primo grado, destinati a chiudersi nei prossimi mesi: quello sugli ex funzionari dell’Anas, sull’imprenditore partenopeo Alfredo Romeo, sul clan degli Spada, cui si aggiungerà il procedimento sui Casamonica, ancora in indagine preliminare. Con Giuseppe Pignatone è passato il concetto di ‘metodo mafioso’ applicato non soltanto alle mafie cosiddette ‘storiche’ ma anche alle organizzazioni criminali autoctone.
“Roma non è Palermo, né Reggio Calabria né Napoli – ha sempre affermato in ogni occasione -. Roma è una città talmente vasta e complessa che non può essere controllata da un’unica realtà mafiosa. Nella Capitale ci sono più mafie, tante organizzazioni, da quelle tradizionali a quelle locali, che lavorano nell’ambito di una sostanziale pax. Una guerra tra fazioni rischia di rovinare gli affari, se invece c’è un accordo tra tutti i protagonisti criminali si fanno i soldi. Fermo restando che la corruzione è il problema numero uno di questa città”.