Anche alcuni uomini delle istituzioni, riguardo alla strage di via D’Amelio, furono artefici di uno dei più gravi depistaggi della storia italiana. Così si è espressa, la Corte d’Assise di Caltanissetta nelle motivazione della sentenza del processo Borsellino quater.
Il documento, di 1.865 pagine, arriva a 14 mesi di distanza dalla pronuncia del dispositivo che ha sancito la condanna a vita per i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino e a dieci anni di carcere per calunnia i falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci. I giudici scrivono che servitori infedeli dello Stato suggerirono false dichiarazioni a piccoli criminali per costruire una verità distorta sull’attentato, costato la vita a Paolo Borsellino e a 5 agenti della scorta, facendo mandare all’ergastolo 7 innocenti.
Un lungo capitolo è dedicato a Vincenzo Scarantino il più contestato dei falsi collaboratori di giustizia, protagonista di clamorose ritrattazioni durante vent’anni di processi; per lui i giudici dichiararono la prescrizione, concedendogli l’attenuante prevista per chi viene indotto a commettere il reato da altri. E proprio su questi “altri” sia è appuntata l’attenzione dei giudici nisseni.
La Corte ha usato parole durissime verso chi condusse le indagini: il riferimento è al team che indagava sulle stragi del ’92, guidato da Arnaldo la Barbera, il funzionario di polizia nel frattempo deceduto. Sarebbero stati loro a indirizzare l’inchiesta e a costringere Scarantino a raccontare una falsa versione della fase esecutiva dell’attentato. Sarebbero stati sempre loro a compiere “una serie di forzature, tradottesi anche in indebite suggestioni e nell’agevolazione di una impropria circolarità tra i diversi contributi dichiarativi, tutti radicalmente difformi dalla realtà se non per la esposizione di un nucleo comune di informazioni del quale è rimasta occulta la vera fonte”.
In merito alla diverse possibili finalità dei depistaggi la Corte ipotizza una supposizione scioccante, scrivendo: “l’occultamento della responsabilità di altri soggetti per la strage, nel quadro di una convergenza di interessi tra Cosa Nostra e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l’opera del magistrato”.
Per quanto riguarda la famosa agenda rossa di Borsellino, sparita subito dopo l’eccidio, secondo la Corte “La Barbera ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa, come è evidenziato dalla sua reazione, connotata da una inaudita aggressività, nei confronti di Lucia Borsellino, impegnata in una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre”.
I pm della Procura Stefano Luciani e Gabriele Paci che, anche grazie alle rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza, hanno riaperto le indagini sulla strage svelando il depistaggio, non si sono mai arresi e hanno continuato a cercare la verità. Frattanto si lavora ad una nuova inchiesta che coinvolge i poliziotti che facevano parte della squadra di La Barbera.