Intuito e tecnologia per la cattura dell’omicida di Mirarchi

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Nicolò Girgenti, il presunto assassino del maresciallo Mirarchi

Intuito e tecnologia per la cattura dell’omicida di Mirarchi. Sono stati determinanti, infatti, i tabulati telefonici, le riprese di alcune videocamere e la prova dello stub. Il tutto associato ad un interrogatorio dell’indiziato che non ha convinto i carabinieri.

Sono stati questi alcuni degli elementi che hanno portato i militari di Marsala alla cattura di Nicolò Girgenti, agricoltore incensurato di 45 anni arrestato ieri per l’omicidio del maresciallo capo Silvio Mirarchi, avvenuto il 31 maggio. A firmare il provvedimento è stato il gip di Marsala Annalisa Amato. Mirarchi rimase ucciso da alcuni colpi di arma da fuoco sparati durante un appostamento a una piantagione di marijuana in contrada Vintrischi, nel marsalese.

Girgenti, ex proprietario delle serre adibite a piantagione di droga, è stato sin da subito fra i sospettati. Interrogato a poche ore dall’omicidio, la sua ricostruzione dei fatti non ha convinto i carabinieri che l’hanno giudicata “assolutamente non veritiera rispetto all’esito dei riscontri eseguiti”. In particolare, l’uomo aveva raccontata di essere rimasto a casa tutta la sera e di essersi addormentato verso le 22. Ma i tabulati del suo telefono hanno dimostrato che era sveglio e che la sua utenza agganciava la cella “compatibile” con il luogo dell’omicidio. La sua auto inoltre è stata ripresa da due telecamere a circuito chiuso mentre percorreva una possibile via di fuga.

Ad incastrare Girgenti c’è anche la prova dello stub. Si tratta di un tampone utile per la rilevazione di tracce da sparo a cui l’agricoltore è stato sottoposto subito dopo l’omicidio. I Ris di Messina hanno trovato numerose tracce di polvere da sparo sui vestiti indossati la notte del 31 maggio da Girgenti e sequestrati dai carabinieri.

Le indagini hanno inoltre dimostrato che l’agricoltore non era estraneo alle attività della piantagione di marijuana. Dopo essere stato responsabile delle serre fino al mese di marzo, quando ne aveva ceduto la gestione a Francesco D’Arrigo (arrestato subito dopo l’omicidio), Girgenti ne era rimasto “socio ma infedele”.

Nelle ore serali e notturne – spiegano gli investigatori – trafugava, insieme ad altri complici, le piante dalle serre. Una attività confermata anche da alcune intercettazioni.