Un rullo compressore la mafia di Agrigento, “molto più pericolosa e seria”, altro che quella palermitana, considerata inaffidabile. Di più, le cosche agrigentine, la loro prontezza e organizzazione “spaventa tutti”. Non è solo una questione di prestigio. Si tratta soprattutto di affari.
Il pizzo, fonte irrinunciabile di introiti, non risparmia nessuno: neppure le cooperative che si occupano dell’accoglienza dei migranti. Due degli arrestati, Calogerino Giambrone e Giuseppe Quaranta, avrebbero costretto a pagare la “tassa” ai clan, ad esempio, il rappresentante di una società di Favara, attiva nella gestione dei servizi di accoglienza integrata per 15 cittadini extracomunitari richiedenti asilo. Imprese e migranti, cambia poco per Cosa nostra all’ombra dei templi, pur di fare affari, dovunque si presentino: “Tanto noi spaventiamo tutti”.
Almeno due le coop che si occupano di gestione dei migranti finite nel mirino degli estorsori del clan di Agrigento: la Omnia Academy di Favara ai cui responsabili si erano presentati i presunti boss Calogerino Gambrone e Giuseppe Quaranta per chiedere il pagamento del pizzo; e la cooperativa San Francesco, il cui titolare avrebbe chiesto, secondo i magistrati, l’interessamento del boss per l’individuazione di uno stabile da destinare a struttura di accoglienza tra Cammarata e San Giovanni Gemini e quindi ottenere le necessarie autorizzazioni pubbliche dalle amministrazioni comunali. Il prezzo da pagare, stabilito in rapporto anche al numero dei migranti, era non solo in denaro, ma anche in termini di assunzioni di persone segnalate dalla cosca.
“In assoluto è la più grossa operazione antimafia nel territorio agrigentino, una indagine che è durata alcuni anni. Sono state colpite da misura cautelare soggetti provenienti da numerosi Paesi e da numerose famiglie mafiose”, ha detto il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, commentando gli esiti della poderosa Operazione Montagna dei carabinieri, scattata nel territorio della provincia di Agrigento.
Colpiti interessi e uomini del mandamento cosiddetto “della montagna” che comprende Santa Elisabetta, San Biagio Platani, Cammarata, San Giovanni Gemini, Alessandria della Rocca, Casteltermini, Raffadali, Cianciana, Favara, Racalmuto e Sciacca. “Tutto ciò dà conferma – per il capo della procura palermitana – della ancora attuale e vitale presenza di Cosa nostra nel territorio. La mafia c’è, la mafia c’è ancora e anche se c’è chi parla di una sua scomparsa è più che evidente che non è così, e che c’è ancora molto lavoro da fare. Non ci troviamo più di fronte alla Cosa nostra di trenta anni fa – ha osservato Lo Voi – ma parlare della sua sconfitta definitiva è ancora prematuro, il lavoro da fare è ancora molto lungo”. Una organizzazione che, soprattutto nel territorio agrigentino, “si connota – ha precisato Lo Voi – per una particolare rigidità e chiusura delle sue strutture, ma che continuamente ricerca contatti e mantiene contatti con mandamenti di altre province dell’intero territorio siciliano”. Anche contatti con la ‘ndrangheta, “con personaggi calabresi, verosimilmente al fine di favorire attività in materia di traffico di stupefacenti”.
Dall’operazione Montagna emerge anche “il manuale del buon mafioso o del buon estorsore”, lo ha raccontato il capo della procura di Palermo, Francesco Lo Voi, nel corso della conferenza stampa. “C’è un mafioso che riesce a definirsi il “fiore all’occhiello” della mafia siciliana – ha detto Lo Voi – criticando addirittura il venir meno nella provincia palermitana di personaggi affidabili”.
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