La storia di Giuseppe Acanto (in foto), il commercialista ed ex deputato all’Ars ritenuto vicino ai boss, si intreccia negli anni ’90 con la strana e tragica vicenda di Giovanni Sucato, il cosiddetto “mago di Villabate”, coinvolto in una colossale operazione di riciclaggio che consisteva nel ricevere prestiti dietro interessi che facevano persino raddoppiare il capitale.
Sedicente avvocato, Giovanni Sucato balzò agli onori delle cronache perché riuscì a creare un vorticoso giro di contanti, incassando fino a 100 miliardi di vecchie lire e garantendo il raddoppio in poco tempo delle somme che gli investitori mettevano a disposizione. Finito sotto inchiesta dopo essere sparito con svariati miliardi, inchiesta che appunto riguardò anche Giuseppe Acanto, Sucato spiegò ai magistrati che il meccanismo con il quale riusciva a raddoppiare in pochi giorni le somme di denaro era lecito e consisteva nel commerciare con l’oro e di avere fatto fortunati investimenti comprando in Francia partite di formaggi prossimi alla scadenza per rivenderli in Africa. Spiegò anche, producendo i documenti, di aver depositato presso la Banca Kram di Tunisi e presso il Credite Agricole Eurevx in Francia, decine di miliardi. Ma per il “mago di Villabate” la storia non ebbe un lieto fine. La mattina del 30 maggio del 1996, infatti, fu trovato carbonizzato all’interno della sua auto, lungo la Palermo-Agrigento, nei pressi del bivio per Bolognetta. Per molti si trattò della punizione della mafia per uno sgarro ai padrini della zona, ma nessuno, ad oggi, ha la certezza di chi o cosa abbia determinato la tragica fine di Sucato.