Sciolto per mafia il Comune di Castelvetrano. Il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’interno Marco Minniti, ha deliberato lo scioglimento dell’amministrazione per accertati condizionamenti da parte della criminalità organizzata.
La gestione dell’ente, già sciolto per motivi amministrativi, viene pertanto affidata per un periodo di diciotto mesi a un’apposita commissione, a norma dell’articolo 143 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.
Il provvedimento arriva dopo quasi tre mesi di accertamenti della Commissione prefettizia insediatasi il 20 marzo, clamorosi gesti politici e giudizi durissimi della Commissione parlamentare antimafia che confermano presenze ingombranti e inquietanti ancora molto vitali nella città di Matteo Messina Denaro.
I tre dirigenti della pubblica amministrazione affiancati, con compiti di consulenza specialistica e supporto tecnico, da ufficiali e funzionari delle forze di polizia e della Direzione investigativa antimafia, hanno portato a termine la loro missione che era verificare “l’eventuale sussistenza di collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso dell’amministrazione comunale”, ossia, “forme di condizionamento tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi e amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità della stessa”.
L’organismo evidentemente ha raccolto elementi in questa direzione, chiudendo la pratica a pochi giorni dal voto nella cittc al centro degli interessi del superlatitante di mafia, ritenuto l’ultimo padrino di Cosa nostra: Castelvetrano era tra i 129 Comuni siciliani coinvolti nella tornata elettorale dell’11 giugno, ma è già pronto il decreto regionale per lo stop alle urne nel grosso comune del Trapanese, informa l’assessore alle Autonomie locali Luisa Lantieri.
La presidente dell’Antimafia Rosy Bindi già quasi un anno fa, il 20 luglio, a conclusione della missione della sua Commissione, aveva detto parole chiare: “Castelvetrano non è una città come tutte le altre e non può permettersi tre assessori iscritti alla massoneria. La vicenda e’ inquietante”. E ancora: “Abbiamo ascoltato il sindaco della città e l’ex capogruppo del Pd e ci è stato offerto un interessante spaccato della relazione tra mafia e istituzioni locali, che è la nuova frontiera dei rapporti con la politica. La vicenda di Castelvetrano è inquietante. Di fronte ad un consigliere comunale (Calogero Giambalvo) che, intercettato, si sente di poter esprimere stima e sostegno al latitante Messina Denaro, è stato evidente l’immobilismo politico. Il trasformismo politico vede un sindaco in carica con tre assessori appartenenti a logge massoniche ed il consiglio comunale commissariato. Non vorremmo che dietro ad un atteggiamento arrendevole ci sia la difesa di alcuni interessi, talvolta massonici. Sto parlando delle logge scoperte, ma a volte può capitare con qualcuna coperta”.
Il riferimento della Bindi è a quanto era successo pochi mesi prima. L’8 marzo 2016 erano arrivate le (sollecitate) dimissioni in massa dei consiglieri del Comune di Castelvetrano. Ben ventisette su trenta avevano in poche ore compiuto questo passo, facendo decadere il Consiglio. Una scelta che era stata la diretta conseguenza dell’imbarazzo e delle pressioni legati al ritorno in Aula di Lillo Giambalvo, arrestato e assolto in primo grado dall’accusa di associazione mafiosa, nell’ambito dell’operazione “Eden 2” che nel dicembre 2014 portò in galera una serie di favoreggiatori del capomafia latitante. Ma sulla testa dell’esponente politico secondo molti erano rimaste parecchie ombre.
Giambalvo, che aveva sempre respinto l’ipotesi dell’addio, era stato intercettato e sentito dagli investigatori esprimere apprezzamenti nei confronti di Messina Denaro e mentre si augurava la morte del figlio di Lorenzo Cimarosa, cugino del latitante, che in quei giorni aveva deciso di collaborare con i magistrati.