La sentenza del processo sulla trattativa tra Stato e mafia continua ad alimentare dibattiti e interpretazioni. In un’intervista rilasciata alla giornalista dell’agenzia di stampa AdnKronos, Elvira Terranova, l’ex procuratore capo di Marsala Alberto Di Pisa ricostruisce alcuni importanti passaggi storici.
“Ricordo che il giorno in cui fu esposta la bara di Giovanni Falcone nell’atrio del Palazzo di giustizia di Palermo, chiesi a Paolo Borsellino se secondo lui la strage di Capaci avesse una finalità destabilizzante. E lui mi guardò negli occhi e mi rispose: ‘No, non è così. Anzi. Direi che l’intento è quello di avere un effetto ‘stabilizzante’. E aggiunse: ‘Ora intendo riprendere al più presto in mano l’indagine su mafia e appalti”.
Di Pisa (nella foto) è stato per molti anni al fianco di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Fu anche uno dei giudici che istruirono il primo maxiprocesso a Cosa nostra. In passato si è occupato di inchieste come l’omicidio del sindaco di Palermo Giuseppe Insalaco, ma anche del processo a Vito Ciancimino.
Un effetto “stabilizzante” perché? “Perché mirava a mantenere il sistema di potere di quel momento”, dice il magistrato. “Io ho sempre pensato che la trattativa Stato-mafia non c’entri niente con la strage di Via D’Amelio – afferma -. Come tutti i delitti eccellenti. Dietro un omicidio ci sono quasi sempre gli appalti, quello è l’interesse economico di Cosa nostra”. E ricorda: “Poco prima di essere ucciso, Paolo Borsellino, ebbe una riunione con i carabinieri del Ros, con Mori e Subranni, proprio sul problema degli appalti, un tema che intendeva riprendere e che riteneva fondamentale per la lotta alla mafia, mentre la Procura lo aveva trascurato”.
L’indagine su mafia e appalti fu archiviato il giorno prima di ferragosto del 1992, cioè nemmeno un mese dopo la strage di via D’Amelio, dopo la richiesta avanzata, pochi giorni dopo la morte di Borsellino, il 22 luglio 1992, dall’allora pm Guido Lo Forte, con l’avallo dell’allora procuratore Pietro Giammanco.
“Certo, un’archiviazione che arrivò poco dopo la strage – dice oggi Di Pisa -. Il fatto temporale dà da pensare…”. E poi ricorda anche la telefonata arrivata la mattina, quasi all’alba, del 19 luglio 1992, il giorno della strage di via D’Amelio al giudice Borsellino da parte del Procuratore Giammanco: “Gli disse che gli avrebbe affidato le indagini su Palermo, sulla mafia di Palermo e quindi, probabilmente, anche il dossier mafia e appalti. Certo, una telefonata arrivata alle sette di mattino, nel giorno della strage fa riflettere. Come se non potesse più aspettare fino all’indomani…”. Quello stesso giorno Paolo Borsellino aveva cercato Alberto Di Pisa, in una casa al mare da parenti, a Marina Longa. “Voleva parlarmi con urgenza, ma purtroppo non c’ero”.
Di Pisa ha sempre criticato il processo sulla trattativa Stato-Mafia, e sulla sentenza di appello, che ha ribaltato il verdetto di primo grado, assolvendo tutti gli ufficiali dei carabinieri e Marcello Dell’Utri, dice: “Ho sempre detto che era un fatto mediatico, un teorema politico e mediatico. Dal punto di vista giuridico, questo processo non stava in piedi. Ora bisogna aspettare le motivazioni. Perché ‘il fatto non costituisce reato’ può voler dire due cose: o che l trattativa c’è stata ma non costituisce reato, oppure che c’è stata ma manca l’elemento psicologico del reato, il dolo. Bisogna vedere cosa intendono fare i giudici”. E aggiunge: “D’altra parte anche il caso Moro, il governo trattò con le Brigate rosse ma nessuno aprì un procedimento. Un fatto che è sempre avvenuto, cioè che lo Stato tratta con i criminali per salvare delle vite umane”. (Fonte AdnKronos)