La Guardia di Finanza di Palermo ha arrestato 91 tra boss, gregari, estorsori e prestanomi di due storici clan palermitani. Il maxiblitz, coordinato dalla Dda di Palermo, guidata da Francesco Lo Voi, ha colpito i clan dell’Acquasanta e dell’Arenella. In manette sono finiti esponenti di storiche famiglie mafiose palermitane come quelle dei Ferrante e dei Fontana. Le accuse contestate sono a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, intestazione fittizia di beni, ricettazione, riciclaggio, traffico di droga, frode sportiva e truffa.
L’inchiesta, che disarticola due “famiglie” di spicco di Cosa nostra palermitana, ha svelato gli interessi dei clan negli appalti e nelle commesse sui lavori eseguiti ai Cantieri navali di Palermo, nelle attività del mercato ortofrutticolo, nella gestione delle scommesse online e delle slot-machine, oltre che in quella “storica” del traffico di droga e nelle corse dei cavalli. Lunghissima la lista delle attività commerciali sottoposte al racket del pizzo. Sequestrati anche beni del valore di circa 15 milioni di euro.
Il blitz è scattato in in Sicilia, Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche e Campania. Impegnati 500 uomini delle Fiamme Gialle, con l’appoggio di un mezzo aereo e di unità cinofile addestrate per la ricerca di armi, stupefacenti e valuta.
Sono nomi noti da decenni agli inquirenti quelli finiti nell’inchiesta della Finanza di Palermo come i Fontana, “famiglia” storica di Cosa nostra palermitana descritta dal pentito Tommaso Buscetta come una delle più pericolose. Dalle indagini è emerso il ruolo di vertice di Gaetano Fontana, scarcerato per decorrenza dei termini nel 2013 dall’accusa di mafia, tornato in cella nel 2014 e nel 2017 uscito nuovamente dopo aver scontato la pena. Oggi sono stati arrestati anche i fratelli: Giovanni, un lungo elenco di precedenti per ricettazione, omicidio, porto abusivo di armi e resistenza a pubblico ufficiale, e Angelo, dal 2012 sottoposto all’obbligo di soggiorno a Milano.
Per gli inquirenti Gaetano Fontana sarebbe il punto di riferimento indiscusso dei “picciotti” dell’Acquasanta, ruolo che avrebbe mantenuto anche mentre era detenuto. Fontana è un cognome storico nel rione Arenella-Acquasanta (che rientra nel mandamento mafioso dell’Acquasanta), imparentati con la famiglia mafiosa dei Galatolo. Stefano Fontana, oggi deceduto, era il reggente della famiglia, passando il testimone al figlio Gaetano che dopo avere scontato una condanna per mafia dal 2010 era sottoposto a sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno a Milano.
I Fontana gestivano le imprese che operano nella cantieristica navale, nella produzione e commercializzazione di caffè, e avrebbero il controllo di decine di supermercati, bar e macellerie e del mercato ortofrutticolo, delle scommesse on-line e delle slot machines.
I fratelli Gaetano, Giovanni e Angelo Fontana vivevano da tempo a Milano, ma hanno mantenuto forti interessi nel capoluogo siciliano. Altro personaggio di rilievo dell’indagine è Giovanni Ferrante, braccio operativo del clan Fontana. Ferrante usava attività commerciali del quartiere per riciclare i soldi sporchi, ordinava estorsioni e imponeva l’acquisto di materie prime e generi di consumo scelti dall’organizzazione. Già condannato per mafia, dal 2016 è stato ammesso all’affidamento in prova ai servizi sociali.
Uscito dal carcere, ha consolidato la propria posizione di leader all’interno della famiglia mafiosa e per la gestione degli affari illeciti usava come intermediatrice la compagna, Letizia Cinà. Molto temuto, modi violenti, in una intercettazione dopo essere stato scarcerato dice: “Oramai non ho più pietà per nessuno! Prima glieli davo con schiaffi, ora glieli do con cazzotti, a colpi di casco… cosa ho in mano… cosa mi viene”. Altro personaggio di spicco è Domenico Passarello, a cui era stata delegata la gestione dei giochi e delle scommesse a distanza, del traffico di stupefacenti, della gestione della cassa e della successiva consegna del denaro ai vertici della famiglia per versamento nella cassa comune.
Infiltrazioni anche nei cantieri navali, con il controllo esercitato su una cooperativa. Non solo i Fontana – nome di peso di Cosa nostra palermitana – erano “di casa” in diversi ippodromi e attraverso i loro uomini di fiducia si occupavano anche di truccare corse dei cavalli in tutta Italia dopando i cavalli oppure minacciando i fantini avversari in modo da far vincere il cavallo prescelto. I soldi poi – con fidati spalloni – viaggiavano da Palermo fino a Milano per essere investiti in attività commerciali “normali” come, ad esempio, la gioielleria Luxury Hours, già sequestrata tempo fa nel cuore di Milano.