“Con l’approvazione del nuovo Codice antimafia in discussione al Senato, il ‘protocollo Antoci’, in toto recepito nella norma, diventerà legge dello Stato italiano e, dunque, un vero duro colpo per le infiltrazioni mafiose anche nelle altre regioni d’Italia. La Sicilia ha dato esempio di vera lotta alla mafia, quella che segue, come diceva Falcone, i soldi e gli interessi. Il protocollo ha bloccato un business da milioni di euro, utilizzati dai clan mafiosi di tutta la Sicilia per conclamare il loro potere, nonché il completo controllo dei terreni”.
Lo dice Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi, scampato oltre un anno fa a un attentato e da allora sotto scorta. Quattordici gli avvisi di garanzia della Dda di Messina che indaga su quell’attentato e sulla mafia dei pascoli. Si tratta di nomi legati ai clan dei Pruiti e di Turi Catania. Tra questi anche i quattro soggetti indagati per l’omicidio dell’allevatore Giuseppe Conti Taguali, ucciso barbaramente a colpi di lupara a luglio del 2014. La maggior parte di loro sono gli stessi personaggi che lo scorso anno, in applicazione del protocollo Antoci, sono stati colpiti da interdittiva antimafia con conseguente revoca di migliaia di ettari di terreni ricadenti nel Parco dei Nebrodi.
“Un danno economico consistente – dice adesso Antoci – per questi soggetti che, da decenni, riuscivano a garantirsi indisturbati affitti pluriennali di terreni ricadenti nel Parco”. Si sono visti bloccare contributi per milioni di euro. “Alcune di queste famiglie – spiega il presidente del Parco – avevano in affitto fino a mille ettari di terreno suddivisi su più aziende per rimanere sotto la soglia dei 150.000 euro prevista per il certificato antimafia. Ogni ettaro, ricadente in aree di riserva naturale, permette di intascare, esentasse, contributi fino a 1.300 euro/ettaro. Il business dei terreni e dei contributi europei per lo sviluppo rurale (Psr) – conclude – sono interessi economici in mano alle organizzazioni mafiose che il protocollo di legalità ha destabilizzato”.