Parlavano di “preventivi” e “acconti” come se stessero contrattando l’acquisto di merci, ma al centro del business c’erano persone, comprate e vendute come oggetti. L’ultimo capitolo della storia criminale del traffico di esseri umani lo racconta l’inchiesta della Dda di Palermo che oggi ha portato al fermo di 14 persone accusate di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, esercizio di attività abusiva di prestazione di servizi di pagamento e un lungo elenco di reati contro la persona, l’ordine pubblico, il patrimonio e la fede pubblica, accuse aggravate dalla transnazionalità.
Quattro indagati – due dei quali ai vertici dell’organizzazione criminale che gestiva i viaggi della speranza dall’Africa all’Italia- sono latitanti. L’indagine, svolta dalla Squadra Mobile di Palermo dal Servizio Centrale Operativo, è la prosecuzione di una inchiesta condotta, in più tappe, dal 2013 che ha consentito, nel tempo, di individuare ed identificare decine di trafficanti di esseri umani operanti sulla rotta del Mediterraneo centrale, molti dei quali già condannati anche in via definitiva a pesanti pene.
Come nelle inchieste precedenti, la banda di trafficanti scoperta dalla polizia operava tra il Centro Africa (Eritrea, Etiopia, Sudan), i paesi del Maghreb (soprattutto la Libia), l’Italia (Lampedusa, Agrigento, Catania, Roma, Udine, Milano), vari paesi del Nord Europa (Inghilterra, Danimarca, Olanda, Belgio e Germania) e agiva su due fronti: il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e l’esercizio abusivo di attività di intermediazione finanziaria attraverso il cosiddetto metodo “hawala”, utilizzato principalmente per il pagamento dei viaggi dei profughi o come prezzo della loro liberazione dai centri lager in Libia in cui venivano trattenuti fino alla partenza per l’Italia.
Al vertice dell’organizzazione una vecchia conoscenza degli investigatori: Ermias Ghermay, ricercato da anni, e due eritrei latitanti. Fin dal 2017, la banda ha gestito il viaggio dei migranti sul continente africano e le fasi successive all’arrivo in Italia. Appena giungevano in Sicilia, a bordo delle navi impiegate in attività di soccorso in mare, gli indagati intervenivano, in un primo momento, consentendo ai profughi di allontanarsi dai centri di accoglienza in cui erano ospitati, nascondendoli in altri luoghi e fornendo loro in alcuni casi vitto, alloggio, titoli di viaggio e falsi documenti, e, in un secondo momento, curandone la partenza verso localita’ del centro e nord Italia da cui potevano raggiungere il nord Europa e talvolta gli USA. In altre occasioni, i membri del gruppo hanno contattato direttamente i migranti gia’ giunti in Italia per consentire loro la prosecuzione del viaggio verso altri Stati europei o in alcuni casi anche verso gli Stati Uniti (gestendo la pericolosa tratta del viaggio attraverso i paesi del Sud America).
Per i suoi “servizi” la banda incassava denaro dai migranti stessi o dai loro familiari ed amici, spesso residenti all’estero, che inviavano i soldi richiesti dai trafficanti con il sistema fiduciario “hawala”. Un metodo che consente di trasferire denaro in maniera illecita utilizzando una rete di intermediari operanti in tutto il mondo.
Il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese complimentandosi con gli investigatori ha detto: “E’ massima l’attenzione della magistratura e delle forze di polizia per contrastare i traffici dei migranti da parte delle associazioni criminali transnazionali che favoriscono l’immigrazione illegale dietro il pagamento di denaro da parte dei migranti stessi e dei loro familiari. Questa operazione – ha osservato – conferma l’importanza della intensa cooperazione internazionale di polizia con i Paesi di origine e transito dei flussi migratori, che ha già consentito, con altre precedenti analoghe attività investigative, di individuare decine di trafficanti di esseri umani operanti sulla rotta del Mediterraneo centrale”.
Il leader della Lega Matteo Salvini ha fatto notare che “fra gli arrestati ci sono alcuni immigrati che erano a bordo della nave Diciotti per cui avevano chiesto che io andassi a processo; e io andrò davvero a processo – ha detto riferendosi al caso Open Arms – il 3 ottobre. Ebbene, in quel tribunale mi dichiarerò colpevole di aver difeso l’Italia e gli italiani”. (Ansa)