Sfruttavano giovanissime loro connazionali, la maggior parte minorenni, che arrivano in Italia, per essere avviate alla prostituzione. E’ l’accusa contestata dalla Procura distrettuale di Catania ai nigeriani Pat Eghaeva, di 43 anni, arrestata dalla Polizia (Squadra Mobile di Catania, con la collaborazione delle Squadre Mobili di Palermo e Caserta) a Caserta, e alla coppia Kate Amayo, di 31 anni, e Adeniyi Moroof Badmus, di 34 anni, arrestati a Palermo.
Alla prima sono contestati il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e la tratta di persone con l’aggravante di aver agito in danno di minori, in concorso con complici in Nigeria e in Libia, esponendo le vittime ad un grave pericolo per la vita e l’integrità fisica e per aver anche contribuito alla commissione del delitto un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno stato; alla coppia viene addebitato lo sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione di giovani connazionali.
Le indagini erano state avviate nel dicembre dello scorso anno dalla squadra mobile di Catania, su delega della Procura di Catania, sulla denuncia di una vittima, una minorenne, che aveva viaggiato con la “madame” Pat e altre due sue giovani connazionali, sbarcate a Catania il 14 luglio del 2017 da nave Diciotti che le aveva soccorse portandole al porto di Catania assieme a oltre 1.400 migranti.
Pat Eghaeva, dimorante a Mondragone, nel Casertano, era gravemente accusata di tratta di persone e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in danno di minori connazionali. Il gip di Santa Maria Capua Vetere, competente quale giudice del luogo di esecuzione del decreto di fermo, non aveva convalidato il provvedimento di fermo, rigettando anche la contestuale richiesta di misura cautelare, ordinando la scarcerazione della donna.
Ma Pat Eghaeva, non appena rimessa in libertà, aveva ripreso la propria attività senza alcun timore ed, anzi, nel riferire dell’avvenuto fermo ai suoi interlocutori, aveva raccontato tanti dettagli: dalla circostanza di esser stata rintracciata a casa assieme ad alcune giovani vittime, alle false generalità indicate alle proprie vittime per evitare che una eventuale denuncia potesse portare facilmente alla sua individuazione, alla falsa versione dei fatti offerta in occasione del fermo.
La “madame” aveva fatto pressioni sulla minorenne perché lasciasse la struttura protetta alla quale era stata affidata e la raggiungesse per “mettersi a lavorare alle sue dipendenze”.
Intercettazioni hanno permesso di accertare che la nigeriana, chiamata anche “Mummy”, era continuamente impegnata nel reclutamento di altre giovani nigeriani nel paese di origine e nella organizzazione del loro trasferimento in Italia e nella contestuale gestione della prostituzione. Lo sviluppo delle indagini ha permesso di individuare due cittadini nigeriani dediti allo sfruttamento della prostituzione di giovanissime connazionali a Palermo: “Sister Kate”, che era il “capo”, e il suo fidanzato di cui si serviva per minacciare le donne e riscuotere gli incassi.
L’importanza del ruolo assunto da “Sister Kate” nel mondo della prostituzione su strada di donne nigeriane emergeva durante un dialogo intercettato quando una giovane prostituta la definiva testualmente “la più grande di Palermo”, alludendo al suo ruolo di organizzatrice.