Niente arancine nell’aeroporto di Catania per evitare dispute linguistiche

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arancine nell'aeroporto

Niente arancine nell’aeroporto di Catania, meglio non alimentare la disputa linguistica tra Palermo e Catania. Come è noto nel Capoluogo la palla di riso è rigorosamente femmina, all’ombra dell’Etna invece di genere opposto.

E così, per essere ecumenica e non urtare la sensibilità dei catanesi, la Focacceria San Francesco, storico riferimento dello street food palermitano, che da pochi giorni ha aperto un punto all’aeroporto di Catania, come riporta Cronachedigusto.it, non venderà gli arancini o arancine che siano.

Tutto questo avviene a pochi giorni dalla ricorrenza di Santa Lucia, dove l’arancina rappresenta il piatto per eccellenza.  “Noi celebriamo l’arancina noi la veneriamo, lei e la sua tondità solare, sfera a carne o a burro, palla, piccola arancia, fimmina”, recita Davide Enia, attore e scrittore. Ciò che varia sempre più della specialità siciliana a base di riso sono gli ingredienti.

L’arancina 2.0 si contamina con pesce spada, salmone, gamberetti, pistacchi, pollo, e persino curry. Tradizionalmente rotonda, ma visibile anche a punta, fritta o al forno, salata oppure dolce. Ma certamente femmina, come detto, almeno all’ombra di Monte Pellegrino. Mai chiamare queste simbolo dello street food locale, arancini, al modo della Sicilia sud-orientale.

Della controversia linguistica si è occupata persino l’Accademia della Crusca che compie in premessa un rimando storico alla dominazione araba in Sicilia, che durò dal IX all’XI secolo. Gli arabi avevano l’abitudine di appallottolare un po’ di riso allo zafferano nel palmo della mano, per poi condirlo con la carne di agnello prima di mangiarlo.

Il paragone con le arance era naturale in Sicilia dato che l’Isola ne è sempre stata ricca. In realtà però non ci sono molte tracce di questa preparazione nella letteratura, nelle cronache, nei diari, nei dizionari, nei testi etnografici, nei ricettari e così via prima della seconda metà del XIX secolo.

Si potrebbe pensare che, nella versione che noi conosciamo, il piatto nato nella seconda metà del XIX secolo come dolce di riso, ma che sia stato trasformato quasi subito in una specialità salata. Nel dialetto siciliano, come registrano tutti i dizionari dialettali, il frutto dell’arancio è aranciu e nell’italiano regionale diventa arancio. Del resto, alla distinzione di genere nell’italiano standard, femminile per i nomi dei frutti e maschile per quelli degli alberi, si giunge solo nella seconda metà del Novecento, e molti in varie regioni italiane continuano tuttora a usare arancio per dire arancia.

Al dialettale aranciu per “arancia” corrispondono il diminutivo arancinu per “piccola arancia”, arancino nell’italiano regionale: da qui il nome maschile usato per indicare il supplì di riso.

I dizionari concordano sul genere di arancino, ma le indicazioni del genere del nome che indica il frutto dell’arancio sono oscillanti: le due varianti arancio e arancia coesistono, con una prevalenza del femminile nell’uso scritto e una maggior diffusione del maschile nelle varietà regionali parlate di gran parte della penisola.

Il femminile tuttavia è percepito come più corretto – almeno nell’impiego formale – perché l’opposizione di genere è tipica nella lingua italiana, con rare eccezioni, per differenziare l’albero dal frutto. Si può ipotizzare, secondo l’Accademia della Crusca, che “il prestigio del codice linguistico standard, verso cui sono sempre state più ricettive le aree urbane, abbia portato la forma femminile arancia a prevalere su quella maschile arancio nell’uso dei parlanti palermitani che, avendo adottato la forma femminile per il frutto, l’hanno di conseguenza usata nella forma alterata anche per indicare la crocchetta di riso”.

Dunque, arancina: la radicale diversità dell’esito locale può aver fatto sì che quando si è assunto il termine italiano per indicare il frutto lo si sia fatto nella forma codificata arancia, da cui arancina. “Si potrebbe allora concludere che chi dice arancino italianizza il modello morfologico dialettale, mentre chi dice arancina non fa altro che riproporre il modello dell’italiano standard”.