Dalle intercettazioni che hanno portato all’operazione Cupola 2.0 emerge tutta la volontà di cosa nostra di riconquistare il terreno perduto recuperando le “vecchie regole” della mafia tradizionale.
I nuovi padrini conversavano per strada o in auto ignari di essere filmati e registrati e stabilivano modalità di comportamento e confini territoriali. Sopra tutti Settimo Mineo, nuovo boss palermitano, indicato come l’erede dei Riina e Provenzano.
“Questa indagine ci porta indietro nel tempo, sembra di riascoltare le parole di Tommaso Buscetta. Viene fuori la riaffermazione delle vecchie regole di cosa nostra: dal rispetto dei confini territoriali dei clan, alla comunicazione tra mandamenti. Cosa nostra continua a vivere di quelle regole e non può rinunciare alla sua struttura unitaria e verticistica” – commenta il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi.
Per il magistrato la necessità di procedere al fermo degli indagati è motivata dal fatto che occorreva impedire che venissero commessi fatti gravi. “Come – spiega il procuratore aggiunto Salvo De Luca, che ha partecipato alla conferenza stampa – l’omicidio di un giovane”.
Del nuovo capo della cupola, Settimo Mineo, Lo Voi ha ricorda la partecipazione al maxi processo. La sua caratura criminale era stata individuata già dal giudice Giovanni Falcone: “Ne avevano parlato pentiti come Buscetta, Contorno e Vitale. Al processo – dice Lo Voi – disse che non conosceva nessuno dei suoi 360 e oltre coimputati nonostante un comune giro di assegni con personaggi come Nicolò Greco e Salvatore Buscemi”.