Operazione Kaulonia, la mafia di Pietraperzia aveva assunto un ruolo guida in cosa nostra

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Con l’operazione Kaulonia i carabinieri del Ros in provincia di Enna e in altre città italiane hanno disarticolato il clan mafioso di Pietraperzia e fatto luce su numerosi delitti tra cui l’omicidio di Filippo Marchì avvenuto il 16 luglio 2017.

L’inchiesta ha rivelato quali fossero gli affari del clan capeggiato dai fratelli Giovanni e Vincenzo Monachino, di Pietraperzia, e ha portato a ordinanze di custodia cautelare a carico di Calogero Bonfirraro, Felice Cannata, Vincenzo Capizzi, Gaetano Curatolo, Filippo Giuseppe Di Calogero, Vincenzo Di Calogero, Giuseppe Di Marca, Gianfilippo Di Natale, Angelo Di Dio, Antonino Di Dio, Luca Marino, Giuseppe Marotta, Giovanni e Vincenzo Monachino, Simone Russo, Antonio Tomaselli, Mirko Filippo Tomasello, Giuseppe Trubia. Giovanni Monachino è da anni entrato in varie indagini sul crimine organizzato.

Nel luglio del 2017, nell’ambito di un’inchiesta sulla cosca di ‘Ndrangheta legata alla ‘ndrina Piromalli, è emerso che Giovanni Monachino, fin dagli anni ’90, ha dato il proprio contributo a cosa nostra, organizzando i summit di mafia nei quali si preparavano le stragi e garantendo anche la sicurezza dei boss che partecipavano.

L’inchiesta è partita nel 2015 ed ha permesso di accertare che i fratelli Monachino che dovevano essere presenti ad un incontro dei referenti provinciali di cosa nostra che si è svolto a Catania nel febbraio 2016, delegarono Marotta e Curatolo quali loro rappresentati. In quella occasione venne ribadito il legame della cosca pietrina al clan Santapaola confermata poi dall’operazione condotta due anni fa per il pizzo imposto ad un imprenditore ennese che aveva avuto in appalto la posa di fibra ottica in alcune zone del catanese.

L’operazione ha fatto luce sul delitto del commerciate di auto usate Filippo Marchì, avvenuto nel 2017 e maturato su decennali contrasti tra la famiglia di Barrafranca che faceva capo a Giuseppe Saitta, assassinato negli anni ’90, e quella di Piatraperzia. Il padre di Marchì sarebbe stato l’autista personale di Saitta. I presunti mandanti sono i fratelli Monachino, mentre Curatolo, Di Dio e Bonfirraro, avrebbero preparato l’agguato. Coinvolta anche un’avvocatessa di Nicosia (Enna), Lucia Fascetto Sivillo, indagata e sospesa dalla professione: è accusata di avere garantito a Cannata, che rappresentava il clan al nord Italia e che era stato coinvolto in altre indagini antimafia sulla cosca pietrina, di acquistare nuovamente i suoi beni che erano stati messi all’asta facendo partecipare alla gara un prestanome dello stesso Cannata.

Secondo il procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone, in conferenza stampa per illustrare i dettagli dell’operazione Kaulonia “il movente specifico dell’omicidio Marchì – ha  sulla base dell’attività non si coglie. Certamente Marchì faceva parte di quello che nelle intercettazioni viene definito il ‘contropartito’. Cioè in sostanza una fazione che non si allineava a quelle che erano le indicazioni della famiglia di Pietraperzia. In passato questa aggregazione era riconducibile a Salvo Saitta che era stato ucciso nel 1992”.

“Il dato piu’ significativo – ha detto Bertone – è quello che riguarda le modalità di riscossione di una estorsione ai danni di un cittadino della provincia di Enna che eseguiva, in ragione dell’appalto vinto, delle attività a Catania. Nelle riunioni si concordavano le modalità di estorsione. Il fatto che personaggi di rilievo di cosa nostra di Catania si siano recati a Pietraperzia dà la misura dell’importanza che la famiglia ha acquisito nel territorio”.

Anche il comandante del Ros, Pasquale Angelosanto, ha sottolineato il ruolo di primo piano della “famiglia” di Pietraperzia, come dimostra il fatto che avrebbe ospitato le riunioni dei vertici di cosa nostra in preparazione delle stragi del ’92