Operazione “Sottoveste”, in manette noto imprenditore palermitano

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Operazione Sottoveste, non è il titolo di una brillante commedia cinematografica anni ’50, ma il nome dato dalle fiamme gialle al blitz che questa mattina ha portato al sequestro di società a beni a Palermo per cinque milioni di euro e che ha portato a sette misure cautelari.

La Guardia di finanza di Palermo ha colpito le infiltrazioni della mafia nell’economia cittadina con indagini che hanno portato all’esecuzione di sette misure cautelari e al sequestro di cinque società. L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia ha portato a due arresti in carcere e ad altrettanti ai domiciliari, mentre per altri tre indagati è scattato il divieto di esercitare attività imprenditoriali per un anno. Le accuse, a vario titolo, sono di concorso esterno in associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni con l’aggravante di avere agito per favorire Cosa nostra.

A finire in carcere è stato l’imprenditore palermitano del settore dell’abbigliamento e dell’intimo Cesare Ciulla, proprietario della catena Hessian, accusato di rapporti con il boss di Pagliarelli Giuseppe Calvaruso.

Le indagini, condotte dal Gico delle fiamme gialle di Palermo, hanno riguardato le attività di due imprenditori: secondo gli investigatori i due, gestendo attraverso prestanome “un articolato reticolo societario”, avrebbero “agevolato e rafforzato” gli interessi economico-criminali del mandamento mafioso di Pagliarelli.

“Per quello che posso fare… a disposizione” – si legge nelle trascrizioni delle intercettazioni che hanno condotto all’operazione Sottoveste. A parlare così era Cesare Ciulla accusato di rapporti con il boss Calvaruso.

L’imprenditore avrebbe aiutato il clan sollecitando la costituzione, appena uscito dal carcere, di un’impresa edile cui sarebbero stati affidati importanti lavori di ristrutturazione di numerosi punti vendita; procurando contatti con soggetti di rilievo del mondo imprenditoriale, assumendo i familiari del boss ed elargendo somme di denaro e altre forme di supporto economico durante il periodo di detenzione. “A disposizione”, diceva dunque l’imprenditore, e il boss, grato per quelle somme di denaro ricevute perché sotto pressione per le richieste dei familiari dei detenuti, rispondeva: “Grazie mi levi dai guai”.