La scintilla sarebbe stata innescata da una lite banale nata dopo un incidente stradale. Ma tra Emanuele Burgio, 26 anni, la passione per la boxe e un cognome “pesante” – il padre teneva la cassa del boss mafioso Gianni Nicchi – e i suoi assassini i contrasti sarebbero nati dal controllo delle piazze di spaccio nelle zone della movida palermitana.
Frizioni mai composte, una tensione permanente, poi l’affronto della vittima che in uno dei tanti incontri chiarificatori organizzati per mettere pace, dopo l’incidente avrebbe pestato Giovan Battista Romano, rampollo di un’altra famiglia di Cosa nostra. Una sfida inaccettabile per i Romano che, lunedì notte, si sarebbero presentati in tre alla Vucciria, regno dei Burgio: Giovan Battista, il padre Domenico e lo zio Matteo tutti fermati oggi dalla polizia per omicidio.
Due generazioni, un passato drammatico. Il capostipite, Giovan Battista come il nipote, aveva 50 anni, nei primi mesi del ’95, quando, dopo essere stato massacrato di botte, venne ucciso e sciolto nell’acido. Si disse che avesse confidato particolari sulla cosca al giudice Giovanni Falcone e anche per questo Cosa nostra lo avrebbe punito. Nell’aprile 2011 poi venne assassinato con un colpo di pistola alla nuca e fatto trovare in mutande nel bagagliaio di un’auto rubata, Davide Romano, 34 anni, fratello di Matteo e Domenico. Arrestato in diverse operazioni antimafia era stato condannato per associazione mafiosa, estorsioni e droga ed era uscito dal carcere da un mese. Voleva rientrare nei vecchi traffici di droga violando pero’ le “regole” di Cosa nostra. E per questo – dice il pentito Vito Galatolo – il boss Calogero Lo Presti ne avrebbe decretato l’uccisione. La droga, dunque, al centro di tutto. Ancora una volta. Poi il diverbio banale. E l’omicidio.
Il commando si sarebbe presentato nel vecchio mercato storico di Palermo con la scusa dell’ennesimo chiarimento. Gli scooter sarebbero stati parcheggiati lontano dalla zona dell’appuntamento. Lì l’ultima lite. Giovan Battista avrebbe estratto la pistola, una calibro nove, e l’avrebbe passata allo zio che avrebbe sparato una, due tre volte colpendo Emanuele Burgio al torace e alla schiena. Il ragazzo ha cercato di scappare, ma non ha avuto scampo. Arrivato gravissimo in ospedale, è morto al pronto soccorso.
Il delitto è avvenuto sotto gli occhi delle telecamere di videosorveglianza di alcuni locali della zona che hanno ripreso la sparatoria. I killer hanno anche ripulito la scena del delitto: la polizia, chiamata da un abitante del quartiere, ha trovato a terra solo qualche traccia di sangue e un casco.
Domenico Romano, 49 anni, fermato per l’omicidio di Emanuele Burgio, interrogato dalla polizia ha cercato di alleggerire la posizione del figlio Giovan Battista, finito in cella con lui e con lo zio Matteo. Ha raccontato che a sparare a Emanuele non sarebbe stato il giovane e che il figlio era andato sul luogo del delitto solo per avere un chiarimento con la vittima dopo la lite che i due avevano avuto nei giorni precedenti. A fare fuoco – ha ammesso Romano – sarebbe stato il fratello Matteo. Dalle immagini dei video di sorveglianza piazzate nella zona del delitto si vede Giovanni Battista passare la pistola allo zio. La versione di Domenico Romano adesso dovrà essere vagliata dagli agenti della squadra mobile. Il procuratore aggiunto Salvatore De Luca ha disposto il fermo dei tre indagati per concorso in omicidio. Un omicidio premeditato aggravato dai futili motivi. (Ansa)