Il tramonto era già calato sulla città. Il cielo di maggio s’era colorato rosso sangue. Uno strano cromatismo aveva assunto la “palla di fuoco” dietro il filare degli alberi che costeggiano l’ospedale.
“Controlla quei parametri. Devi essere precisa perché il dottor D’Amico desidera approfondire tutti i dati”. Disse Giacomo rivolgendosi ad Irene.
“Stai tranquillo… 130 su 70”. Hai scritto? Replicò Irene. “Le pulsazioni sono stabili… 60”. Nella sala di rianimazione dell’ospedale Maggiore, sei lettini occupati da altrettanti pazienti. La luce ovattata di colore blu si riflette sulle bianche lenzuola facendo apparire tutto intorno come in una realtà celestiale. Tutto l’ambiente è scandito dal suono quasi monotono dei monitor.
La dottoressa Maria Rosa Lo Vecchio è nella sua stanza a verificare scrupolosamente la cartella clinica dell’ingegnere Arturo Mercanti.
Nel reparto la penombra delle luci interne si confonde con l’atmosfera plumbea dell’esterno. L’orologio che campeggia in cima al lungo corridoio segna le 17,58.
All’improvviso: “Venite, venite! Accorrete! L’ingegnere si è svegliato. Venite, presto!”. Urlò a squarciagola una delle infermiere di turno davanti al monitor generale collegato con il lettino numero 2 dove da 5 anni e 6 mesi è disteso, inerme, Arturo che nella notte del 25 novembre 1987 si era schiantato con la sua Yamaha 1000 contro un albero di viale Real Tenuta.
“Cosa? Si è svegliato? Disse incredula dalla sua stanza la dottoressa Ingrassia –. Chiamate a casa il primario. Immediatamente. Avvertite anche i colleghi di turno della Neurofisiopatologia. Non perdiamoci in chiacchiere. Svelti!”.
All’improvviso nella sala di terapia intensiva, attorno al lettino una selva di “camici bianchi”, tutti a constatare il“miracolo”.
“Guardate – esclamò una delle infermiere – sta muovendo il mignolo della mano destra”.
Ed ancora: “Attenti sta sussurando qualcosa. Piano, spostiamo piano il viso. Ascoltiamo”, replicò un altro paramedico.
“Doooveeeee soooono? Chi sieteeeeeeeeeee? Doveee miii trovoooo?Voglio andare a casa”.
Nella sala medici, al primo piano dell’ospedale Maggiore, in un improvvisato breefring, in attesa che giungesse il capo dipartimento prof. Anton Maria Cantalamessa, i medici di turno ed i neurofisiopatologi stanno esaminando scrupolosamente la voluminosa cartella dell’ingegnere.
Stanno leggendo tutti i parametri. Ed è evidente che Arturo Mercanti fa parte, consapevole, di quei pazienti che dopo anni di “forzato riposo”, indotto dalle “macchine” e dai farmaci, all’improvviso, quando meno te lo aspetti, si risvegliano e…
“Bene vediamo cosa sta accadendo – disse il professor Cantalamessa sopraggiunto, tutto trafelato, nel cuore della notte da una cena a Villa Costanza –. Diamo un occhiata agli ultimi encefalogrammi, l’emocromo è a posto? Le frequenze? Signori, stiamo calmi. Se è quello che penso, dobbiamo affrontare…”.
Nemmeno il tempo di finire la frase che dalla stanza della terapia intensiva arriva un altro richiamo: “Venite, venite. L’ingegnere sta di nuovo parlando…”.
In ospedale, nel frattempo, di corsa dalla villa di via dei Platini, sono sopraggiunti Claudia Beltempo, moglie di Arturo Mercanti, ed i figli Jessica, Brigida e Lucio quest’ultimi arrivati in città da pochi giorni per una breve vacanza prima di fare rientro negli Stati Uniti dove frequentano l’University of New York.
“Signora Beltempo suo marito ha riaperto gli occhi”, dice tra la gioia e l’incredulità Giovanna Valenti, caposala del reparto.
“Aspetti un attimo prima di entrare. Nella stanza ci sono tutti i medici, c’è anche il prof. Cantalamessa. Sta valutando l’evoluzione. Sa una cosa? Non ci credevamo più. Poteva immaginarlo? Si è risvegliato dopo oltre cinque anni di coma. Un miracolo”.
L’orologio del corridoio segna già le 5 del mattino, ma nella stanza del miracolo, sembra che il giorno abbia fatto a gara con la notte e viceversa.
Cantalamessa esce e cerca affannosamente di incontrare la moglie ed i familiari dell’ingegnere.
“Signora – si rivolge a Claudia Beltempo – stiamo calmi. E’ vero suo marito si è risvegliato, ma dobbiamo valutare i danni che ha subito il cervello in questi oltre 5 anni di lungo coma profondo, di coma vegetativo. Stiamo a vedere. Sono ottimista. Ma in questi casi la prudenza e l’esperienza mi dicono che non bisogna mai cantare subito vittoria. Adesso può entrare. Vada a salutarlo. Ma non stia molto, non dobbiamo fargli provare emozioni. Lui è come se fosse rinato. Come se fosse tornato da un altro mondo. Capisce?”.
I giorni, nel frattempo, passano in quella stanza numero 4 e si materializza sempre più il ritorno alla vita dell’ingegnere Arturo che, giorno dopo giorno, grazie anche all’ausilio di fisioterapisti, logopedisti e di uno psicologo, sta pian piano ritornando alla vita. Anche se gradualmente. Non respira più attraverso le macchine. Via i tubi attorno al suo corpo. L’unico segno, quel foro in mezzo alla gola: la tracheotomia. Presto però anche quella cicatrice si rimarginerà.
Era un giovedì mattina del giugno 1992, quando l’infermiera di turno registrò uno dei suoi progressi: “Mi aiuti – disse con voce flebile l’ingegnere – sono stanco. Molto stanco. Ho camminato tantissimo. Ho attraversato un lungo tunnel. Quella luce bianca, accecante. Sono stanco… E poi, quel profumo di rose: intenso inebriante”.
L’infermiera intuì e subito dopo si recò nella stanza dei medici, dove quella mattina di turno c’era il dottor Giuseppe Baffa, uno dei tre aiuti più anziani del prof. Cantalamessa.
“Dottore, dottore – disse l’infermiera – ci risiamo. L’ingegnere Mercanti è uno di quelli che è…”.
“Cosa uno di quelli che…”, replicò Baffa. Cosa vuole dire?”.
“Semplice dottore – aggiunse la donna – l’ingegnere sta tornando alla vita. Fa parte di quei pazienti che hanno…”
Nemmeno il tempo di finire la frase che il dottore Baffa aggiunse: “Si Caterina, l’ingegnere Mercanti è uno di quelli che ha avuto esperienze “fuori dal corpo” o di “pre-morte”. Insomma, l’Nde, Near Death Experience”.
Si l’Nde un fenomeno tanto caro al prof. Cantalamessa, uno dei maggiori esperti in Italia di questi fenomeni, che di li a poco sarebbe arrivato in reparto e, come solito avrebbe intrattenuto gli specializzandi del secondo anno, in una delle sue lezioni preferite.
Nel frattempo al reparto erano arrivati Jessica e Lucio due dei tre figli dell’ingegnere. Jessiva aveva in mano un lettore Mp3, quello di suo padre.
Arturo Mercanti, infatti, quando rimaneva fino a tardi nel suo studio a disegnare, a progettare, tra matite, gomme, inchiostro di china e calcolatrici non si separava mai anche dal suo prezioso lettore Mp3, con la memoria strapiena di brani di cantautori italiani.
“Sai Lucio – disse Jessica rivolgendosi al fratello – e se facessimo ascoltare a papà quel suo brano preferito. Ho saputo che i pazienti in coma hanno un risveglio più immediato, più agevole quando ascoltano la loro musica. Ci proviamo?
Detto, fatto. Jessica si avvicina al capezzale del padre e dopo avergli dato un bacio in fronte gli applica alle orecchie le piccole cuffie.
“Dai Lucio – premi play – e vediamo cosa accade”. Il lettore inizia così la sua lezione di… risveglio: “Il carretto passava e quell’uomo gridava…gelati. Al 21 del mese i nostri soldi erano già finiti. Io pensavo a mia madre e rivedevo i suoi vestiti. Il più bello era nero con i fiori non ancora appassiti. All’uscita di scuola i ragazzi vendevano i libri, io restavo a guardarli cercando il coraggio di imitarli… Che anno è, che giorno è, questo è il tempo di vivere con te. Le mie mani, come vedi non tremano più, e ho nell’anima, in fondo all’anima, cieli immensi e immenso amore…”
Jessica e Lucio guardavano il padre e all’improvviso, mentre il brano scorreva, dagli occhi di Arturo, scese sul viso una rugiada di lacrima e poi il suo sguardo si illuminò e disse con una voce flebile: “Lucio, Lucio Battisti. I giardini di marzo. Le mie mani non tremano più. Cieli immensi, immensi amori. Fiumi azzurri, colline e praterie, dove corrono dolcissime le mie malinconie…”.
L’ingegnere stava ricominciando a ricordare. Eccome, se ricordava… E quella rugiada, bianca trasparente illuminava il suo viso che pian piano stava riprendendo il suo colorito dopo anni di pallore.
Tre giorni più tardi Cantalamessa convoca nel suo studio al secondo piano dell’ospedale Maggiore, la moglie del paziente Mercanti.
La signora Beltempo si presenta di buon’ora all’appuntamento e con lei c’è anche la figlia Brigida.
Con le due donne c’è anche Mario Mercanti, il fratello minore di Arturo. Avvocato penalista ad Acilia, alla periferia di Roma, dove si è trasferito da oltre dieci anni dopo avere conseguito l’abilitazione. Tra i suoi clienti ci sono stati anche quei due rumeni che nell’ottobre del 1991 violentarono a Casalpalocco una ragazza cubana di 20 anni che stava scendendo dal trenino per raggiungere l’amica che risiede da anni nella zona di via Barbi.
“Bene – disse il primario della Rianimazione ai familiari di Mercanti – è venuto il momento di affrontare in maniera importante il fenomeno Nde di cui è protagonista il vostro congiunto”.
Il prof. Cantalamessa, “calzando” i suoi occhiali “calamitati” si sofferma un attimo prima di prendere gli appunti e rivolgendosi alla moglie, alla figlia e al fratello dell’ingegnere Arturo disse: “Signori da questo momento, dobbiamo e dovete essere preparati a tutto. Siete disposti ad andare avanti? Se si, fatemi un cenno ed io vado avanti, altrimenti il nostro colloquio si chiude adesso”.
Non ci sono state remore. La signora Beltempo, la figlia Brigida, ed anche l’avvocato Mercanti risposero quasi in contemporanea: “Professore, vada avanti. E’ autorizzato a farlo”.
Ed il prof. Cantalamessa come se si trovasse immerso in un’aula di università a tenere lezioni sulla Near Death Experience, iniziò la sua disquisizione.
“Proprio nei giorni scorsi – disse il direttore della Rianimazione – ho ricevuto l’invito a partecipare alla Southampton University della Gran Bretagna ad una lezione magistrale del prof. Samuel Greefith, esperto della coscienza in situazione di morte clinica, che permette di capire meglio cosa significa arrivare ad un passo della morte e, come descrivono quelli che lo hanno provato, “tornare indietro””.
Cantalamessa, aprendo il secondo cassetto a destra della sua scrivania prende un block notes dove custodiva, gelosamente, gli appunti della lezione del collega più illustre.
“Spiega il prof. Greefith – rileva il primario dell’ospedale Maggiore – la morte non è un momento preciso, ma un processo in divenire in cui le varie funzioni cessano progressivamente. Nei prossimi tre anni studieremo oltre 2 mila soggetti sopravvissuti ad un arresto cardiaco per indagare se abbiano avuto esperienze “fuori dal corpo” o di “pre-morte” chiamate appunto Nde, Near Death Experience”.
I familiari dell’ingegnere Mercanti ascoltavano in religioso silenzio rotto soltanto da un intervento dell’avvocato Mario che rivolgendosi al prof. Cantalamessa disse: “Scusi professore, cosa si sa al momento su questo fenomeno?”.
Ed il primario, sfogliando il suo corposo taccuino aggiunge: “Signori, i racconti dei sopravvissuti alla morte (ad esempio rianimati dopo una grave crisi) e dei soggetti risvegliatisi dal coma costituiscono un corpus di testimonianze che ha alcune caratteristiche apparentemente omogenee: molte volte infatti le esperienze vissute sono simili fra loro, il che ha portato vari studiosi a formulare diversi tipi di teorie. Le teorie sulle “Nde” si dividono in due tipologie: teorie scientifiche, che mettono in relazione il fenomeno con peculiari alterazioni transitorie di tipo chimico, neurologico o biologico, tipicamente presenti nel corpo umano in condizioni particolari come quelle prima descritte; ovvero, sul piano psicologico, come racconti di tipo auto-consolatorio e rassicurante, elaborati per descrivere in modo chiaro e definito le confuse sensazioni che si accompagnano al momento del risveglio dal coma, come ad esempio. la forte luce presente nella stanza (descritta come tunnel di luce da cui si esce con il risveglio. Teorie parapsicologiche, metafisiche e soprannaturali, che collegano le esperienze di pre-morte a una sorta di presa di contatto anticipata con l’aldilà durante la quale il soggetto ha modo di esperire direttamente la separazione fra anima e corpo e la sopravvivenza dell’anima come entità spirituale, rispetto alle spoglie mortali. Il più noto studioso di questi fenomeni è il medico e psicologo americano Raymond Moody. Negli ultimi anni hanno dato un rilevante contributo a questi studi e alla loro divulgazione, a partire dal 1989, anche il teologo francese Francois Brune e il medico olandese, Pim van Lommel”.
Fin qui il prof. Cantalamessa che avrebbe continuato ore ed ore a parlare dell’Nde. Nel frattempo nella stanza numero 4 si consumava un’altra settimana di intenso lavoro a cui viene sottoposto l’ingegnere Mercanti, da quando quasi venticinque giorni fa si è svegliato dal lungo sonno.
Il fisioterapista Giuseppe Sapienza è già all’opera. Così come la logopedista Carmelina Messana. Accanto al letto dell’ingegnere, giace Rina Loria, la giovane “mamma-coraggio”, così come è stata ribattezzata dopo che ha dato alla luce la bella Geltrude durante il suo periodo di coma profondo provocato da quel farabutto che la notte dell’Epifania l’ha travolta in viale Regione scappando via e rovinandole l’esistenza.
«Ingegnere – sottolinea Sapienza – oggi proviamo ad alzare il braccio sinistro. Piano, senza correre. Proviamoci. Così, ci siamo. Piano uno-due, ancora… uno-due. Bravo. Stiamo facendo progressi».
Rivolgendosi a Rina Loria che di questi esercizi ne ha già compiuti diversi in questi mesi, Giuseppe Sapienza sottolinea: “Vedi Rina? L’ingegnere si sta abituando. Racconta tu cosa hai provato i primi tempi”.
E mamma-coraggio, con un filo di voce, anche a causa della tracheotomia che ha abbandonato soltanto da una decina di giorni risponde: “Sono stata fortunata nella sfortuna. Ho trovato del personale medico ed infermieristico che mi sta coccolando, mi segue passo passo. Sono consapevole che non riuscirò mai più a camminare. Sarò costretta a vivere schiava di una sedia a rotelle, ma consapevole di avere una bella famiglia che mi aiuterà passo passo a questa nuova mia vita. I primi tempi di fisioterapia erano uno strazio, un supplizio. Ricordo che stavo mollando, molto presto. Poi, con l’aiuto di tutti sono…”.
Nella stanza dell’ingegnere arriva il prof. Cantalamessa. Oggi è il giorno del ricordo. Il direttore della Rianimazione, come è già capitato nel recente passato, si intrattiene con il paziente Mercanti per alcuni minuti. Oggi, c’è l’esercizio più importante per comprendere da vicino le fasi di una Nde.
“Bene – disse Cantalamessa sedendosi di fianco al lettino dell’ingegnere – oggi proseguiamo la nostra lezione, chiamiamola così. Allora ingegnere Mercanti, vogliamo fare un po’ di esercizi mentali. Mi racconti la sua esperienza. Non abbia timore, siamo qui per aiutarla”.
Ed Arturo dopo essersi un po’ rilassato inizia la narrazione. “Ricordo di essere entrato dentro un tunnel. Di galleggiarvi dentro. Prima non vedevo nulla. Era tutto buio, senza illuminazione. Poi all’improvviso dopo avere camminato, non ricordo quanto, ma mi sentivo stanco, sfinito. Ho visto alla fine di quella galleria la luce, accecante, calda di pace. Ho notato che tutto attorno era bianco, candidissimo. Sfolgorante. Ricordo anche di avere parlato con qualcuno. Ricordo pure di avere visto l’immagine di mia nonna che, per rassicurami mi disse che non mi avrebbe mai abbandonato e che avrebbe vegliato per me in quell’ambiente dove i miei pensieri si perdevano nell’infinità. Mi sentivo abbracciato da quella luce. E poi quel profumo intenso di rose…”.
Il professore Cantalamessa nel frangente stava vergando passo passo questo racconto sul suo block notes. Non gli sfuggiva nulla. Nessun particolare veniva tralasciato.
Poi, quasi a voler entrare da protagonista nella narrazione di Arturo disse: “Ingegnere, sua nonna è ancora viva?”.
“No, è deceduta nel dicembre 1979. Aveva 78 anni. Era nata nel 1901 e ricordo che un giorno parlando con lei si ricordava del tremendo terremoto di Messina. Era una donna splendida, esemplare. Ero molto legata a lei. Per me era come una seconda mamma. Peccato, non sono riuscito a cogliere l’essenza più importante”.
Il prof. Cantalamessa, rivolgendosi ad uno dei suoi collaboratori disse perentorio: “Vedete? Quello che ha vissuto l’ingegnere è una delle fasi fondamentali della Nde. La luce intensa, che abbraccia ogni cosa. La sensazione di pace, tranquillità. La sensazione di uscita dal proprio corpo ossia Obe Out of body esperienze. L’incontro con un parente morto, in questo caso la sua nonna. Mercanti sembra che sia entrato in un ingresso, in un altro mondo. E poi anche il superamento di un punto di non ritorno”.
Ma il racconto dell’ingegnere riprende e il primario invita tutti ad ascoltarlo con attenzione.
“Ricordo mia nonna vestita di nero ma in un ambiente tutto bianco. Ricordo che mi prese per mano e camminammo lungo un prato verde. Verdissimo, dai fiori profumatissimi. Mi disse: Arturo, questo non è il tuo mondo. Non c’è spazio ancora per te. E’ tempo che tu ritorni”.
Ritorno dove, mi chiesi. E mia nonna con la sua dolcezza replicò: “Devi tornare, ti aspettano. Questo non è il tuo mondo, ma il mio. E’ vero, qui c’è tranquillità, serenità. Non è ancora venuto il tuo tempo. Dai, non perderti in chiacchiere. Addormentati di nuovo e torna tra la tua gente. Nonna ti veglierà. Stai tranquillo. Non ti abbandonerò mai”.
Il prof. Cantalamessa assorto tra i suoi appunti si rivolse ancora all’ingegnere: “Sa cosa le è successo? E’ a conoscenza di quello che le è capitato?”.
E l’ingegnere Mercanti: “Ero uscito dal mio studio dopo avere completato una parte del mio lavoro. Stavo progettando la diga foranea per il porticciolo di Presidiana e di avere preso la mia moto. Ho attraversato la città per raggiungere casa, ma prima dovevo fermarmi a Mondello per incontrare un geometra. Poi il buio attorno a me. Quel nero pesto…”.
Secondo le prime indagini dei carabinieri e dell’unità infortunistica dei vigili urbani che accorsero dopo l’impatto alla Real Tenuta, l’ingegnere forse a causa di un malore o di una distrazione avrebbe perso il controllo della sua moto e si è schiantato contro un albero. Sarebbe stato un automobilista di passaggio a lanciare l’allarme.
Ma il racconto dell’ingegnere prosegue: “Prima di quel buio ricordo una cosa strana. Adesso che ci penso, qualcuno mi ha spinto verso qualcosa. Una spinta violenta, abbastanza forte…”.
Il primario si ferma di botto e rivolgendosi ad un suo collaboratore “Gambino, chiami subito il Comando dei carabinieri. Si faccia passare il capitano Ambrosi. Si faccia dire se può raggiungermi immediatamente in ospedale. Lo aspetto nella mia stanza”.
Cantalamessa alzandosi dalla sedia che si trovava a fianco del letto dell’ingegnere lasciò la stanza e si diresse con il dottor Luigi Trabucco nel suo studio al secondo piano.
Strada facendo rivolgendosi al suo aiuto: “Luigi siamo ad una svolta. Hai sentito cosa ha detto l’ingegnere? Stiamo attenti a quello che ci ha pocanzi raccontato. Verifichiamo domani, facendogli raccontare di nuovo la sua esperienza se quell’episodio della spinta si ripeterà. Sa cosa ha voluto raccontarci Mercanti che su quell’albero della Real Tenuta non ci è finito spontaneamente ,ma è stato tamponato da qualcuno. Capisci cosa significa? Un pirata della strada che non ha avuto la dignità di fermarsi e di prestare soccorso”.
Prima di arrivare nel suo studio il professore si fermò un attimo nella stanza medici e rivolgendosi alla caposala che era di passaggio le disse: “Chiamate immediatamente la moglie e i figli dell’ingegnere. Fateli venire subito, c’è qualcosa di importante da chiarire”.
Nel frattempo nell’anticamera del suo studio è arrivato, quasi trafelato il capitano Vittorio Ambrosi.
Lasciamo da parte i convenevoli di rito. Il prof. Cantalamessa fece accomodare l’ufficiale dell’Arma nel suo studio e incalzò subito: “Capitano c’è qualcosa di nuovo. L’ingegnere ha iniziato il suo racconto e tra i suoi ricordi prima di entrare in coma profondo ci sono anche gli attimi che hanno anticipato il suo incidente. Parla di avere avvertito un violento urto e poi il buio”.
Ambrosi intuisce dove vuole arrivare il primario. “Professore è venuto il tempo che io interroghi l’ingegnere. Se il racconto fosse realmente questo, capisce bene che ci troviamo di fronte ad un pirata della strada e che la moto non si sarebbe schiantata ma, forse, sarebbe stata prima speronata”.
Più tardi nella redazione centrale del quotidiano del mattino, uno dei cronisti di punta, Michele Toscano, riceve una strana telefonata sul suo cellulare.
“Sono in ospedale, guarda che c’è qualcosa di strano. Devi avvicinare. C’è una notizia particolare. Potrebbe interessarti”.
“Cosa è successo”, replicò il giornalista. “Niente, non posso parlarti, se ti interessa la notizia devi alzare il culo da quella poltrona e venire a constatare di persona. Ti assicuro che farai un colpo…”, aggiunse l’informatore dell’ospedale Maggiore.
Cosa fare? La città era ripiombata nelle tenebre dopo quello che era accaduto alle 17,58 ma, allo stesso tempo, c’era anche da affrontare quest’altra notizia.
Michele Toscano era dibattuto. Cosa fare? Andare? Lasciò, alla fine, che fosse la sorte a decidere. Sulla sua ordinata scrivania, dentro un bicchiere che ospitava penne, matite, pennarelli e forbici, anche una moneta di 50 lire. La prese e se la portò sul palmo della mano destra e con uno scatto la lanciò in aria, mentre la moneta faceva le sue “capriole” pensò: “Se esce testa vado, altrimenti resto”. Non fece nemmeno il tempo di finire il pensiero che le 50 lire emisero il verdetto: “Testa”.
Era inevitabile. Bisognava andare e immediatamente al Maggiore. Salì a bordo della sua Fiesta rossa e percorse la via del mare per raggiungere il luogo segnalato dal suo informatore.
Il capitano Ambrosi nel frattempo era già dentro la stanza e stava iniziando l’interrogatorio dell’ingegnere Mercanti. Fece accomodare dentro l’appuntato Calogero Cusimano per verbalizzare.
“Come stiamo? Possiamo perdere qualche minuto? E’ la prassi. Dobbiamo fare questo incontro. Bisogna capire cosa è accaduto realmente quel giorno di cinque anni fa. Capisce? Mi dica soltanto se è in grado di affrontare questa breve chiacchierata?”.
E l’ingegnere non si sottrasse, anzi senza alcuna fatica tornò al suo racconto. Quando disse: “Ho la sensazione che qualcuno mi abbia violentemente tamponato”, il suo discorso s’interruppe e, chiudendo gli occhi quasi a voler rivedere quelle immagini aggiunse senza sorta di dubbio: “Capitano, ricordo una immagine sfocata. Una donna al volante. Mentre ero per terra vicino all’albero girandomi verso la direzione di Mondello vidi una Volvo di colore grigio che si allontanava rapidamente…”. La Volvo “grigio-topo” era la stessa che l’ingegnere Mercanti anni prima aveva acquistato per la moglie…