La Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana ha rigettato la domanda della procura regionale, e assolto da responsabilità amministrativa, gli ex governatori Raffaele Lombardo e Rosario Crocetta, l’ex sindaco di Palermo Diego Cammarata, l’attuale primo cittadino Leoluca Orlando, nonché gli ex assessori all’Ambiente Michele Pergolizzi, Giuseppe Barbera e Cesare La Piana, per il danno che il Comune di Palermo ha subito per il mancato raggiungimento degli obiettivi determinati dalla legge di raccolta differenziata dei rifiuti.
La procura – che aveva intrapreso la sua azione dopo la denuncia di alcuni parlamentari nazionali e regionali e di un attivista del Movimento cinque stelle – aveva quantificato il danno arrecato all’amministrazione di Palazzo delle Aquile, tra il 2011 e il 2014, in oltre 51 milioni di euro, corrispondente all’ammontare complessivo degli oneri aggiuntivi sostenuti per il conferimento in discarica di rifiuti che, invece, dovevano essere destinati alla raccolta differenziata.
L’azione della procura prende le mosse dallo “scopo-fine” fissato dall’ordinamento in termini di raggiungimento di determinati obiettivi di raccolta differenziata dei rifiuti, per approdare alla conclusione secondo cui il danno finanziario riconducibile alla mancata realizzazione degli stessi è casualmente attribuibile alle condotte omissive tenute, con colpa grave, dai convenuti medesimi.
Per l’accertamento della responsabilità amministrativa, l’impostazione può certamente essere ritenuta efficace quando il raggiungimento di un determinato scopo-fine dipenda esclusivamente dall’azione del soggetto o dei soggetti coinvolti. Ebbene, nella sentenza depositata oggi e firmata dal presidente Guido Carlino – estensore Paolo Gargiulo – la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti spiega che la contestazione della procura regionale “avrebbe dovuto prendere le mosse dalla mancata realizzazione di una rete di raccolta differenziata delineata, sotto il profilo dimensionale e delle sue possibili articolazioni (raccolta porta a porta, raccolta di prossimità), in misura tale da essere ritenuta idonea, concorrendo gli altri fattori esterni (fra cui la corretta adesione della collettività), per la realizzazione dello scopo-fine di cui si tratta”.
La mancata individuazione dello “scopo-mezzo” che la pubblica amministrazione, “secondo il previsto riparto di competenze”, avrebbe dovuto raggiungere “in funzione del conseguimento dello scopo-fine” e la relativa assenza di specifica contestazione “impediscono di accertare se dalle attività svolte per lo sviluppo della raccolta differenziata poteva discendere, in assenza dei fattori ostativi che la procura ha posto a fondamento delle predette ingenti riduzioni di apporto causale a favore dei convenuti, il raggiungimento, almeno tendenziale, dello scopo-fine”.
Del resto, secondo quanto risulta dagli atti finiti nel processo, “tali attività non appaiono marginali o prive di significatività”. A ciò va aggiunto, per i giudici contabili, che la complessa vicenda “appare caratterizzata da eventi complessi quali lo stato di emergenza in cui versava il territorio e lo stato di insolvenza e poi il fallimento di Amia e dalla presenza di agenti la stessa Amia e Rap, rimasti estranei al giudizio il cui peso” e il cui peso poteva avere “effetti favorevoli ai convenuti anche nell’ottica dell’accertamento degli altri elementi strutturali dell’illecito”.
Si osserva, infine, che l’introduzione nell’ordinamento dell’articolo 32 della legge 28 dicembre 2015, “Misure per incrementare la raccolta differenziata e il riciclaggio”, fa sorgere “più di un dubbio sulla persistenza, nell’intervallo di tempo considerato, dello scopo-fine posto a fondamento dell’azione della procura regionale, atteso che ivi si legge che “l’adeguamento delle situazioni pregresse, per il raggiungimento delle percentuali di raccolta differenziata come previste dalla vigente normativa, avviene nel termine massimo di ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
“Diversamente ritenendo si giungerebbe, infatti, all’individuazione – pur in presenza della predetta disposizione, evidentemente discendente dalla presa d’atto che, nella materia di cui si tratta, la disciplina unitaria può incontrare effettive possibilità di attuazione in misura differenziata, a seconda dei contesti territoriali e sociali di volta in volta interessati – di un quadro normativo sostanzialmente coincidente con quello riscontrabile se la stessa disposizione non fosse stata introdotta nell’ordinamento. Non si possono, dunque, ritenere sussistenti sufficienti elementi per pervenire a una pronuncia di condanna a carico dei convenuti”. (AGI)