Salute, fibro-miomi uterini malattia sociale: nasce modello virtuoso basato su 10 punti

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Un modello virtuoso basato su 10 capisaldi per affrontare in maniera sistematica quella che ormai è “una malattia sociale”: i fibro- miomi uterini. È questa la proposta conclusiva della tavola rotonda organizzata a Roma lo scorso 2 febbraio, con il patrocinio del Consiglio Regionale del Lazio e da Arbor Vitae, Centro di Endoscopia Ginecologica.

“Chiederemo l’apertura di un tavolo tecnico – dichiara Ivan Mazzon, presidente di Arbor Vitae – con il ministero della Salute, le Regioni, ospedali/cliniche private convenzionate, società scientifiche e associazioni dei pazienti”.

”In prima linea, al fianco della donna, vuole esserci la Regione Lazio – aggiunge Rodolfo Lena, presidente della Commissione Politiche Sociali e Salute del Consiglio Regionale del Lazio- con l’obiettivo di realizzare un progetto pilota da applicare poi su tutto il territorio nazionale”.

Il primo step sarà la richiesta agli istituti di competenza di un aggiornamento epidemiologico. Gli ultimi dati disponibili, seppur non recentissimi, indicano un fenomeno che necessita di essere risolto: più di 3 milioni di donne coinvolte in Italia, una donna su quattro colpita in età fertile, il 33% sono tra i 40 e i 60 anni, il 18% tra i 30 e i 40 e il 4% tra i 20 e i 30 anni.

Preoccupanti sono i dati sulle isterectomie inutili. Secondo il Piano Nazionale Esiti 2016 (PNE) degli ultimi 5 anni, delle 70.000 procedure di isterectomia effettuate in Italia ogni anno, ben il 75% sono state fatte per malattie benigne come metrorragie o miomi, meno frequentemente per prolasso (7%) e neanche il 18% per un cancro. Inoltre, i dati evidenziano un incrementarsi dei casi nei piccoli centri, in famiglie di basso ceto sociale e nel Sud Italia.

In questi anni si è fatta attenzione solo a ridurre il numero dei cesarei, ma non il numero delle isterectomie inutili. Considerando il costo di una miomectomia per ogni paziente, che si aggira tra i 3.700 euro e i 4.200 (senza considerare il costo sociale del ricovero post intervento e l’assenza dal lavoro), il risparmio annuo per il sistema sanitario nazionale sarebbe di circa 194milioni di euro a cui ovviamente sarebbe da detrarre il costo della terapia alternativa.

Embolizzazione, terapia medica o chirurgica: come procedere? A rispondere alla giornalista del Corriere della Sera Ester Palma, moderatrice della tavola rotonda, Stefano Lello della Fondazione del Policlinico Gemelli di Roma: “Il panorama delle tipologie di fibromiomatosi è vastissimo e variegato e non in tutti i casi è necessario intervenire, né tantomeno in modo demolitivo. Va quindi lasciato spazio alla valutazione del caso specifico da parte del medico (per numero di fibromi, tipologia, età della paziente, aspettative)”.

D’accordo Ivan Mazzon, che sottolinea quanto sia importante “fermare il dilagare di isterectomie improprie e interventi chirurgici inutili, salvaguardare l’utero e procedere al trattamento solo di casi sintomatici. Quindi, largo alle tecniche più innovative ma conservative come la chirurgia isteroscopica o la miomectomia ad ansa fredda. Laddove si debba invece per forza procedere con un’isterectomia, l’invito è a ridurre quelle in via laparotomica e aumentare quelle in via endoscopica”.

Proprio secondo questa filosofia, sono state messe a punto di recente alcune “Linee Guida/Raccomandazioni sulla diagnosi e trattamento delle Fibromiomatosi” dall’Aogoi (Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani), SIGO (Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia), AGUI (Associazione Ginecologi Universitari Italiani), con il coordinamento della Fondazione C. Ragonese. “Si tratta di una pubblicazione di circa 70 pagine, con raccomandazioni su come inquadrare le diverse situazioni cliniche – spiega Enrico Vizza, il segretario regionale Aogoi che ha coordinato il panel di esperti – e procedere per ogni singolo caso con un approccio personalizzato, tenendo conto dei continui aggiornamenti della ricerca medica e farmacologica”.

In tutto questo scenario, occorre considerare le mutate esigenze delle donne di oggi. “Scoprire di avere un mioma crea grande disorientamento e il rischio di documentarsi in modo errato è alto.– argomenta Annamaria Mancuso, presidente di Salute Donna Onlus – Inoltre, il desiderio di maternità si è spostato tra i 35 e i 40 anni. Le donne oggi sono più attente all’integrità della loro femminilità prima e dopo la menopausa”.

Secondo Ermanno Greco del Centro di Medicina della Riproduzione dello European Hospital, ”scegliere l’iter di cura più adatto vuol dire non compromettere la capacità riproduttiva della donna e specie dopo tecniche di fecondazione in vitro non mettere a rischio le capacità di impianto degli embrioni.”

“Di qui la necessità – conclude Rodolfo Lena – di avviare un tavolo tecnico, realizzare una piattaforma web che informi il paziente sui centri di eccellenza (in base ai numeri di pazienti curati/operati), le best practice, le terapie innovative e i percorsi guidati diagnostico-terapeutici identificati sulla base delle Linee guida, oltre ad una campagna di informazione per i cittadini con una giornata dedicata al check up gratuito ginecologico”, adesione e diffusione delle linee guida sul trattamento dei fibro-miomi uterini realizzate da AOGOI, AGUI e SIGO, con il coordinamento della Fondazione C. Ragonese.