“In 2.700 anni il terreno di questa area sismica della Sicilia si è alzato di circa tre metri, mentre negli ultimi 60 anni le falde acquifere, di cui questa zona è molto ricca, si sono abbassate di quasi 20 metri”. Lo ha detto Marco Materazzi, geomorfologo dell’Università di Camerino, intervenendo al baglio Florio del parco archeologico di Selinunte nell’ambito della presentazione dei risultati del primo di tre anni di una ricerca che i geomorfologi dell’Università di Camerino stanno svolgendo per valorizzare e tutelare dai rischi geologici l’antica polis della quale, con una termocamera ad alta sensibilità termica, sono state trovate tracce sepolte della prima conformazione morfologica risalente proprio a 2.700 anni fa.
Quattordici, sino a oggi, i piani di volo effettuati sull’area del parco archeologico con un esacottero, un drone con sei braccia che ha rilevato le temperature dei corpi sia vivi sia inerti. “Rimangono ancora molte strutture da indagare – ha rilevato Enrico Caruso, direttore del parco archeologico di Selinunte -. Va compresa la conformazione geologica della zona e il perché i selinuntini la scelsero per il loro insediamento. La città è certamente molto più ampia di quella odierna. Questa indagine ci consentirà di tracciare confini più certi. Il dramma di Selinunte è la conservazione. Dobbiamo capire cosa vuol dire tenere in piedi un tempio che può rischiare di cadere in caso di terremoto. Questo ci deve indurre a riflettere”.
Il riferimento è alla ricostruzione del tempio G, tanto auspicata nelle ultime settimane in particolare dal neo assessore regionale ai Beni culturali Vittorio Sgarbi. Una faglia ancora attiva, infatti, attraversa proprio l’area nella quale si trovano i resti del tempio G. “Selinunte – ha osservato il geologo strutturale Pietro Paolo Pierantoni – ha subito terremoti importanti, uno tra il III e il IV secolo avanti Cristo e uno fra il VI e il XIII secolo. Una faglia aveva direzione Nord-Sud e un’altra Est-Ovest e quella che attraversa il tempio G è ancora attiva”. (ANSA)