Stato-mafia: per il pentito Di Filippo ci fu un accordo tra Forza Italia e i boss

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Lo ha detto il collaboratore durante la sua deposizione davanti alla Corte d’assise di Palermo, spiegando la vittoria di Fi, nel 1994. La Corte d’Assise ammette le richieste dei pm per sentire Carmelo D’Amico e Vito Galatolo

 

 

“Non esisteva in Sicilia nessun partito politico in grado di vincere le elezioni senza il volere di Cosa nostra. Mafia e politica, almeno fino al 1995, erano la stessa cosa. Ci fu il periodo del partito Radicale, poi quello Socialista, poi venne il momento di Berlusconi”. Lo ha detto il pentito Pasquale Di Filippo, durante la sua deposizione al processo sulla trattativa Stato-mafia che si svolge davanti alla Corte d’assise di Palermo, spiegando la vittoria di Fi, nel 1994.

 

Di Filippo, genero del boss Tommaso Spadaro, rimase molto deluso dal fatto che Forza Italia, dopo le elezioni, non rispettò degli “accordi” perchè ci si aspettava, in cambio dei voti, interventi legislativi sul regime del carcere duro a cui erano sottoposti diversi boss mafiosi. Dell’esistenza di un patto tra la mafia e Silvio Berlusconi, Di Filippo fu sicuro dopo le elezioni del 1994, quando ne parlò con il boss Leoluca Bagarella.

 

“Gli ho chiesto perchè avessimo votato Berlusconi – ha detto – e mi lamentai delle condizioni di mio suocero (che era detenuto a Pianosa, ndr) e del fatto che nulla fosse cambiato. Lui, parlando del leader di Forza Italia, mi rispose: “Lascialo stare perchè in questo momento, mischinazzo, non può fare niente per noi, appena si potrà muovere stai sicuro che farà qualcosa”. Da questo io ho capito che Bagarella e Berlusconi avevano fatto un patto”. L’abolizione del carcere duro era, secondo il collaboratore di giustizia, il vero pallino di Cosa nostra. “Le stragi erano state fatte per ricattare lo Stato – ha aggiunto -. Questo io l’ho detto nel 1995 quando ho iniziato a collaborare. Gli attentati erano un modo per dire: o si fa come diciamo noi, o continuiamo così. La richiesta principale era l’abolizione del 41bis”. 

 

I pentiti Carmelo D’Amico e Vito Galatolo deporranno al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Lo ha deciso la corte d’assise di Palermo, che celebra il dibattimento, accogliendo le richieste dei pm. D’Amico, ex esponente della “famiglia” di Barcellona Pozzo di Gotto, in passato detenuto a Milano col boss palermitano Nino Rotolo, ha raccontato di avere saputo dal capomafia dell’iniziativa di alcuni esponenti istituzionali, nel 1992, di contattare Salvatore Riina e Bernardo Provenzano per verificare cosa volesse Cosa nostra in cambio dell’abbandono della strategia stragista. Rotolo gli avrebbe parlato anche del ruolo nella trattativa del boss Antonino Cinà e dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino. Sempre D’Amico ha parlato ai magistrati di coperture istituzionali della latitanza di Provenzano e della permanenza a Barcellona Pozzo di Gotto del latitante Nitto Santapaola.

 

Inoltre, D’Amico nel 2014, avrebbe appreso da Rotolo informazioni su progetti di attentati nei confronti di magistrati. Galatolo, ex boss dell’Acquasanta, ha raccontato di un piano per uccidere il pm Nino Di Matteo e di un carico di tritolo già acquistato (ANSA).