Strage di Capaci, qualcuno spiava i telefoni di Giovanni Falcone

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Notizie divulgate da fonti istituzionali per creare pressioni su Giovanni Falcone? Un sospetto che sembra emergere dalla deposizione del giornalista di Repubblica Attilio Bolzoni, che ha testimoniato al nuovo processo per la strage di Capaci, in corso davanti alla Corte d’Assise nissena e che vede imputati i boss e gli affiliati alla cosca mafiosa di Brancaccio Salvo Madonia, Vittorio Tutino, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Piazzo e Lorenzo Tinnirello.

“Nel 1989 – ha raccontato Bolzoni – mi venne fornito dall’ex capo della Mobile Arnaldo La Barbera e da un’altra persona di alto rango istituzionale un rapporto di polizia dal quale emergeva che i telefonini di Giovanni Falcone erano sotto controllo. Entrai anche negli uffici di Falcone e vidi che c’erano uomini in tuta bianca che lavoravano e controllavano l’ufficio. Capii di avere una bomba in mano e quindi raccontai la vicenda, uscirono gli articoli su Repubblica con il titolo ‘Falcone spiato’ ed il giorno successivo in tanti smentirono la circostanza. Ma l’allora capo della Polizia – ha aggiunto – confermò che Falcone non era spiato, ma spiatissimo. Molti anni dopo, parlando con il collega Giuseppe D’Avanzo, riflettemmo sul fatto che forse quelle notizie erano state diffuse o con intenzione malevola e quindi per creare pressioni su Falcone o con un intento positivo e quindi per attirare l’attenzione su di lui, anche perché eravamo nel periodo dell’attentato dell’Addaura e delle lettere del corvo”.

Bolzoni ha raccontato di avere ricevuto da Arnaldo La Barbera anche gli identikit di persone la cui presenza fu segnalata sui luoghi della strage di Capaci pochi giorni prima dell’attentato. Un’altra fonte, non rivelata dal giornalista, gli disse invece che uno dei visi ricostruiti dagli investigatori, e che furono pubblicati sui giornali, era somigliante all’identikit di un sospettato per il fallito attentato dell’Addaura, risalente al giugno ’89, quando nei pressi della villa di Falcone venne ritrovato un ordigno inesploso. Il processo eè stato rinviato al 27 aprile; per quattro giorni la Corte ascolter in trasferta a Roma, nell’aula bunker del carcere di Rebibbia, alcuni collaboratori di giustizia citati dalla Procura.