Non è reato vivere in strada, anche se lo vieta un’ordinanza anti bivacco del sindaco. Non commette reato chi vive per strada, “su di un marciapiede con i cani in una baracca precaria di cartoni e pedane in legno”. Anche in presenza di una disposizione del sindaco che lo vieta. Il decoro e l’interesse pubblico non giustificano la sanzione penale a chi, per la sua condizione, non rispetta l’ordinanza comunale.
La Cassazione ha salvato così un clochard di Palermo dal pagamento di mille euro, a titolo di sanzione penale, per non aver rispettato l’ordinanza anti bivacco del sindaco. Il codice penale riconosce, infatti, come reato l’inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità (art. 650 del codice penale), ma nel caso dell’uomo, condannato dal tribunale di Palermo, la Suprema Corte ha affermato che il fatto non sussiste.
L'”interesse pubblico” a tenere le strade in ordine e i marciapiedi puliti non può essere usato come una clava, portando davanti al giudice penale chi vive situazioni individuali di estrema povertà, è senza casa e vive per strada. L’ordinanza del sindaco – spiega la prima sezione penale della Cassazione – non riguarda un ordine specifico nei confronti di un determinato soggetto, e vale in funzione “preventiva” non punitiva.
Dunque, secondo la Cassazione, il tribunale di Palermo non doveva sanzionare il senza tetto, un quarantenne italiano che nel dicembre 2010 viveva in strada in una baracca improvvisata, con i suoi cani, incriminato perché con la sua condizione violava la legge. Anche se il Comune aveva emesso una specifica disposizione per vietare “di predisporre bivacchi o accampamenti di fortuna” che creino “grave alterazione del decoro urbano o intralcio alla pubblica viabilità”.
Una decisione che pare sulla falsariga di quella che la Suprema Corte aveva preso lo scorso anno, assolvendo, con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, un giovane straniero senza casa che aveva rubato cibo da pochi euro in un supermercato per fame, spinto dal bisogno. Anche nel caso dell’homeless di Palermo, il difensore ha spiegato nel ricorso in Cassazione, come questi, senza fissa dimora, “versasse in stato di necessità, situazione tra le quali doveva essere compresa l’esigenza di un alloggio”. E in quanto tale non punibile.
Con una stringata motivazione (sentenza n. 37787) la prima sezione penale della Cassazione ha annullato la condanna perché non è reato l’inosservanza della disposizione del sindaco, in quanto questa è “rivolta ad una generalità di soggetti” in “via preventiva”, senza riferimento ad una situazione che nel concreto si è realizzata, e non è sufficiente che sia in nome dell’interesse pubblico.
In pratica l’ordinanza del Comune serve a prevenire delle situazioni, ma l’inosservanza non può portare a sanzionare penalmente quelle che già ci sono. Ragione questa che ha portato i giudici ad annullare la condanna e a ritenere assorbito il motivo di ricorso sullo stato di necessità.(ANSA).